Varie, 26 aprile 2002
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Rumi Giorgio
• Milano 15 marzo 1938, 1 aprile 2006. Storico • «[...] Uscito dalla facoltà di Scienze politiche della Cattolica di Milano fra gli allievi di Ettore Passerin d’Entrèves, passato dagli studi di relazioni internazionali, Rumi diventò dal 1971 libero docente di Storia della storiografia, e dal 1977 ordinario di Storia contemporanea, approdando, dopo una esperienza all’Università di Bari, alla Statale di Milano. I suoi interessi di studio sono stati molteplici. La diplomazia vaticana e in modo particolare Benedetto XV sono stati oggetto di un lavoro intenso, svolto sugli archivi europei senza attendere l’apertura di quelli del Vaticano: egli metteva in luce il modo con cui il Papa cercava di sfruttare l’inedita condizione di neutralità nella Grande guerra, a partire dalle culture intransigenti del secolo precedente. Questi studi, confluiti anche nel volume di saggi su Benedetto XV e la pace - 1918, promosso nel 1988, si svilupparono poi nella prefazione al diario del barone Carlo Monti sulla ”conciliazione ufficiosa” fra Italia e Santa Sede negli anni del pontificato di Giacomo Della Chiesa. Tuttavia la sua principale lezione, di merito e di metodo, è stata quella sulla storia della Chiesa lombarda fra Otto e Novecento: una ricerca che si condensa negli studi sulla Milano cattolica nell’Italia unita, e sulla Lombardia guelfa, 1790-1980, usciti rispettivamente nel 1983 e nel 1988, nei volumi su Gioberti o su Don Carlo Gnocchi, e che si dirama in tutta una serie di contributi che indagano il profilo del cattolicesimo ambrosiano: da Federico Confalonieri e Armida Barelli, Ildefonso Schuster e Giovanni Battista Montini, padre Agostino Gemelli e Alessandro Manzoni, passando per Achille Ratti, Marco Minghetti, Antonio Rosmini, Davide Albertario o don Primo Mazzolari. In questa indagine emergono le sensibilità personali d’uno studioso conservatore e non intransigente, antigiansenista e sensibile al liberalismo elitario, che diventa capace di leggere per connaturalità la cultura ambrosiana. La sua Milano cattolica - come titolava un suo contributo al convegno su Pio XII del 1983 - è una ”Roma del Nord”: un centro che può conservare tutta l’identità ambrosiana in ragione d’un legame con il papato, che può far sentire la propria voce fino alla soglia dell’incomprensione fra il Pontefice e l’arcivescovo, proprio perché sconta una fedeltà a Roma che è il cuore della tradizione borromaica. Questa caratteristica - che in qualche modo è anche impersonata biograficamente dalla collaborazione che Rumi prestò all’Osservatore Romano con commenti scritti in momenti difficili della vicenda politica mondiale negli anni di Giovanni Paolo II - gli fa interpretare il conflitto politico insistendo più sulle sfumature che sulle cesure. Ancora più importante [...] è però il suo modo di collocare l’orizzonte del cattolicesimo lombardo: perché per lui la Lombardia è una isola d’Europa, nella quale è essenziale rintracciare i segni del regio imperial governo, le stratificazioni spagnole, gli influssi francesizzanti, piuttosto che lo sciocchezzaio «celtico» che s’infiltrava contestualmente nella politica italiana. Una politica che lo chiamò per una breve parentesi ad amministrare la Rai, quando le sue qualifiche di membro della Fondazione Balzan, della Fabbrica del Duomo di Milano e dell’Accademia di san Carlo, di condirettore di Liberal [...] lo facevano giustamente ritenere la persona capace di portare la dignità intellettuale che ad altri faceva clamorosamente difetto: servizio prestato con il disincanto che non gli mancava, nel marasma del Cda. [...]» (Alberto Melloni, ”Corriere della Sera” 2/4/2006).