Varie, 26 aprile 2002
PEDRETTI
PEDRETTI Carlo Bologna 6 gennaio 1928. Storico dell’Arte. Nel 1953 scrive il suo primo libro, Documenti e memorie riguardanti Leonardo da Vinci a Bologna e in Emilia. Nel 1959 si trasferisce in California dove insegna all’Università Ucla, mantenendo però costanti rapporti con l’Italia e partecipando annualmente alle Letture Vinciane. Fondamentale il suo contributo nella ricostruzione della cronologia dell’enorme lascito dei manoscritti di Leonardo. Importanti anche i suoi commenti alle pubblicazioni facsimiliari curate dalla Giunti, in particolare modo quella del codice Leicester-Hammer. Alla fine degli anni Ottanta fonda la rivista di studi vinciani Achademia Leonardi (’liberal” 3/12/1998) • «[...] Massimo studioso vivente di Leonardo (ha scritto il grande Kenneth Clark: ”Chi vuole occuparsi di Leonardo deve farlo con devozione completa. ma deve anche conoscere a ogni livello lo stato dell’arte all’epoca leonardesca [...] Ben pochi studiosi hanno entrambi i requisiti: per la verità me ne viene in mente uno solo, il professor Carlo Pedretti”), se lo interrogate sulla giovanile folgorazione per il’genio di Vinci” ride bonario e s’attacca al cliché: ”Il ”genio’, appunto. A 11 anni sono stato affascinato da questo personaggio da sillabario, da scuole medie, la gran mente che si occupa di tutto e soprattutto ha questo aspetto misterioso, affascinante della scrittura... [...] subito, a quell’età, trovo che non c’è niente di misterioso nella scrittura. Imparo subito a scrivere come Leonardo, m’abituo a usare la mano sinistra. Ed è la cosa che chiedo ancora adesso ai miei allievi all’inizio dei corsi; imparare a scrivere ”all’incontrario’ con la sinistra, come Leonardo, che, essendo mancino, scriveva nel modo più naturale, ”centrifugo’ rispetto all’asse del corpo umano...”. Niente specchio per leggere, poi, guai! ”Leonardo mica usava lo specchio”. [...] Mi interessava il cinema, l’arte - mi sono laureato in Storia dell’Arte -, i veneti in particolare, avevo una passione per la pittura veneta. Ho anche fatto il giornalista... Occuparmi solo di Leonardo? Ma no, era anche un po’ una posa”. In redazione, però, al Giornale dell’Emilia, dove c’era anche Enzo Biagi, l’avevano soprannominato Leonardo tout-court: ”Be’, è vero che avevo questa passione sfrenata. Era una continua scoperta, accidenti. nel ”51 scoprii delle robe fantastiche, ci fu un grosso servizio su Epoca. Poi me ne andai in America”. Ma no, fu molto dopo, nel ”59. ”Ah, sì. Ero in rapporto con uno dei fondatori del Medical Center della Ucla, che per passione si era fatto una grande biblioteca leonardiana, faceva anche pubblicazioni, e dopo due o tre anni di corrispondenza quasi giornalieri mi offrì di andare lì come visiting e insomma da cosa nacque cosa e rimasi. Tempi eroici, bellissimi davvero”. Se credete che sia facile, con uno come Pedretti, tracciare il suo - diciamo – itinerario amoroso, ricredetevi. Da un canto lui indica all’interlocutore lo strumento più semplice: l’ordinata, sterminata bibliografia dei suoi studi leonardeschi (a proposito: la prima pubblicazione è datata agosto 1944, un saggetto a pagina 5 della Settimana, intitolato ”Leonardo ”moderno’ e la guerra’, scritto da un Pedrettino sedicenne), dall’altro confonde le idee con i continui salti e una regale indifferenza per le date, la precisione. Torniamo al Pedretti ventenne, il ”Leonardo” da redazione. Ma [...] voleva fare il giornalista sul serio? ”Be’, sì, poteva essere una possibilità, una possibilità... Per sbarcare i lunario, comunque”. Le giornate le passava fra reperti leonardeschi d’ogni genere, ma soprattutto a Milano, all’Ambrosiana, dov’è conservato il Codice Atlantico: ”Ho trovato delle cose straordinarie, perdio. All’epoca nessuno si sognava mai di andare a controllare le pagine originali di Leonardo, di scavare nei libri dei suoi contemporanei, nei cataloghi...”. E il lavoro da giornalista? ”Ero un free-lance. Non dovevo stare in redazione. Poi magari, di notte, facevo il giro delle questure. Ma di giorno le mie questure erano le biblioteche [...] Avevo una certa idea sull’identità della Gioconda, ci fu una certa copertura, quando diedi la notizia... Pensavo che fosse la principessa Filiberta di Savoia, una teoria bellissima. Poi oggi non la accetto più. Era un’ipotesi di lavoro. C’è sempre una componente d’audacia, in queste cose. Poi un’altra volta ho pensato che fosse Pacifica Brandà e poi via via finché, in tempi più recenti, la signora Gualanda [...]”. Troppo lungo farsi raccontare come mai la signora Gualanda (pisana, trasferita a Napoli) sia oggi la Giocnda più attendibile, ma certo la convinzione se l’è fatta con quel suo celebre metodo d’indagine che combina ”a microscopical eye with relentless logic, una vista microscopica con una logica impeccabile” (altro elogio di sir Kenneth Clark), adoperato fin dai primissimi anni, e collaudato trionfalmente dalla scoperta, a 23 anni, di una ”vera” macchina di Leonardo, non uno schizzo, un appunto, un progetto: ”l’ho scoperta a Venezia, nel codice di un contemporaneo di Leonardo, Benvenuto di Lorenzo della Volpaia. Una storia fascinosissima”. La storia è che Pedretti è in un grande deposito di libri e sta consultando una bibliografia in cerca di riferimenti al Trattato della pittura di Leonardo. ”Li trovo, e cosa faccio? Di solito uno, quando ha trovato quel che cerca, ripone il volume. Non io. Io, se ho un libro in mano, lo leggo tutto. E allora, guardandomelo tutto, ho trovato un altro riferimento a Leonardo, ho detto: caspita! questo qui nessuno l’ha mai guardato! Mi precipito a cercare il manoscritto. Accidenti, era di un contemporaneo di Leonardo e riportava le sue invenzioni, compreso un contatore idraulico che gli aveva commissionato il conte Bernardo Rucellai. Un contatore fatto fare da un artigiano di Domodossola e poi spedito a Firenze nella tenuta del conte. La prova provata che le macchine di Leonardo venivano costruite, adoperate, non soltanto fantasticate e disegnate!» [...)» (Maria Giulia Minetti, ”Specchio” 13/11/1999).