Varie, 26 aprile 2002
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SylosLabini Paolo
• Roma 30 ottobre 1920, Roma 7 dicembre 2005. Economista. Dopo la laurea, conseguita nel 1942, aveva compiuto studi di specializzazione all’estero (Harvard e Cambridge) per poi insegnare a lungo nelle università di Catania, Bologna e Roma ”La Sapienza”. Allievo di Joseph Schumpeter, era noto negli ambienti della ricerca internazionale per i suoi studi sullo sviluppo e sull’inflazione. All’attività scientifica aveva sempre affiancato l’impegno civile, da posizioni di sinistra laica riformista. In particolare il suo Saggio sulle classi sociali del 1974 aveva suscitato un largo dibattito, in quanto sottolineava il ruolo cruciale dei ceti medi, contro le teorie marxiste allora prevalenti in ambito progressista • «[...] economista e polemista politico. La prima di queste due qualifiche apparirà ovvia a chiunque di Sylos Labini conosca la formazione culturale, la carriera accademica, le opere scientifiche di risonanza internazionale[...] L’altra, quella di ”polemista”, emerge nitida, per poco che si siano seguite le sue prese di posizione su temi ed eventi della vita italiana [...] Una personalità duplice, dunque, e del tutto coerente: in lui rigore di studioso e passione civile apparivano inscindibili, al punto da riversarsi senza stridori l’una nell´altra. Si tratta di un’identità alquanto insolita, che non sfugge ai lettori dei suoi volumi scientifici, anche i più proverbiali, come Saggio sulle classi sociali, uscito da Laterza nel 1974, cui seguì nel 1986 Le classi sociali negli anni Ottanta. Sylos Labini vi si rivelava uno dei non molti esperti italiani di economia che sapesse parlare anche ai profani. Una vena pungente, demistificante - e a tratti addirittura ilare, come sanno essere certi spiriti capaci di coniugare il sapere con la ”verve” - era il suo segno. [...] Sylos, insomma, era Sylos, e ciò bastava e avanzava. Quel cognome era sinonimo di testimonianze appassionate. [...]» (Nello Ajello, ”la Repubblica” 8/12/2005) • «[...] è stato un grande economista, sicuramente il più noto e apprezzato all’estero, insieme con Piero Sraffa, nella seconda metà del secolo scorso. Allievo di Alberto Breglia a Roma negli anni Quaranta, aveva seguito per un anno a Harvard le lezioni di Schumpeter, nel 1949 o nel 1950 [...] Insieme ad Adam Smith, Schumpeter - e attraverso di lui la tensione tra sensibilità storica e ambizioni teoriche - rimase il punto di riferimento di tutta la sua vita di studioso. Tornato in Italia, scrisse un saggio profondamente originale, se valutato nel contesto della teoria dei mercati allora dominante: Oligopolio e progresso tecnico (1956). Si trattava di un lavoro molto ricco, pieno di spunti, ma divenne soprattutto noto attraverso la brillante modellizzazione che Franco Modigliani fece del suo nucleo teorico, la teoria del prezzo limite. Si tratta di un pezzo dell’analisi dell’oligopolio che oggi è ricompreso nel capitolo sui mercati contendibili, ma che fino a non molti anni or sono tutti i manuali d’economia riprendevano dall’articolo di Modigliani. Altri economisti si sarebbero fermati a rifinire ed estendere l’argomento che aveva dato loro la fama: Sylos Labini andava laddove lo portava la sua inesauribile curiosità, l’urgenza dei problemi economici e sociali che riteneva politicamente più importanti. [...] Chi non ricorda un saggio che fu una bomba nei primi anni Settanta, che costrinse tutti i sociologi a misurarsi con lui, il Saggio sulle classi sociali? Il modo in cui quel libro venne costruito era tipico del metodo di lavoro di Sylos Labini. Poche grandi opere di riferimento, Smith, Marx, Schumpeter e non molto altro, perché non era da lui costruire ”libri a mezzo di libri”, passando da citazione a citazione. Spesso erano i suoi assistenti (o meglio, i suoi ”assistiti” come ci chiamava) a ricordargli: professore, questo l’ha già detto il sociologo X, il filosofo Y o l’economista Z. ”E allora? - replicava - Io lo dico alla luce dei dati che sto considerando”. Questo era il suo metodo: il saggio sulle classi sociali nacque da una ispezione attenta e curiosa dei dati censuari, dalla scoperta - in un momento in cui la classe operaia era il soggetto politico di riferimento - che il nostro era ed era sempre stato un Paese di classi medie, di piccola borghesia, e di una borghesia media e alta in cui si annidavano rentier e ”topi nel formaggio”. Impegno politico e civile. Questa è una costante della vita di Sylos, e attraversa i più diversi campi. La consulenza ai governi del centrosinistra: il Saggio sulla programmazione, scritto insieme a Giorgio Fuà, fu un lavoro importante nella seconda metà degli anni Sessanta. Siro Lombardini, Giorgio Ruffolo, Federico Caffè, insieme a Giorgio Fuà, furono i suoi compagni in un’avventura in cui un socialista liberale come Sylos Labini credette profondamente ed il cui fallimento lo lasciò molto amareggiato. Ma anche impegni riformistici a raggio più corto e con un impegno personale più diretto. Per esempio, l’impegno cui si dedicò, con la passione meridionalistica che derivava da Gaetano Salvemini e da Giustino Fortunato, per fare dell’Università della Calabria a Cosenza un campus modello. Nino Andreatta era rettore e Sylos Labini preside della facoltà di Economia: difficile immaginare due persone in apparenza così distanti - la passione fredda di Nino e quella caldissima di Paolo - eppure così vicine. O ancora, la continua attenzione ai problemi di riforma dell’Università. O l’ambizione di creare, dopo i disastri degli anni Trenta e Quaranta, del fascismo e dell’economia corporativa, un gruppo di economisti italiani degni della grande tradizione da cui la nostra scienza economica era nata e capaci di interagire da pari con gli economisti anglosassoni. [...]» (Michele Salvati, ”Corriere della Sera” 8/12/2005) • «Soprattutto era simpatico. Ad ascoltarlo parlare [...] non si era neppure sfiorati dal pensiero che l’economia, di solito, riceve l’epiteto di dismal science, scienza triste, o grama. Tanto più che, andandolo a trovare, poteva capitare di avere come sottofondo sonoro il jazz di Cole Porter o di Duke Ellington. Lo studio dell’economia ha dato forma in lui a una curiosità intellettuale potente e varia, sveglissima fino a poco prima della morte. stato il maestro di tanti, in Italia. I suoi libri, numerosi, sono stati letti anche da molti che di solito di economia non leggono. Partito dagli studi sullo sviluppo - su quali sono i fattori che espandono il benessere - è poi passato a studiare il progresso tecnico, le classi sociali, la disoccupazione, seguendo un percorso di cui è facile intravedere i moventi: l’interesse politico e civile verso i problemi che apparivano, a un laico di moderata sinistra come lui, via via più urgenti, e ardui da risolvere per la società italiana, in un dato momento storico. Negli ultimi anni, sullo studio aveva fatto premio l’impegno politico: per quanto gli permettevano le energie, si è dato da fare nella protesta contro il berlusconismo. Faceva capo a lui il movimento chiamato ”Opposizione civile”. Da economista, riteneva estranea al mercato l’ascesa di Silvio Berlusconi: ”il padre dell’economia liberale moderna, Adam Smith, l’avrebbe bollata come un’infamia”, disse, perché ”le concessioni televisive che Bettino Craxi, con prepotenza oscena, fece avere a Berlusconi, ricordano i brevetti reali che venivano dati alle Compagnie delle Indie per condurre affari anche illeciti restando impunite”. stata, la sua degli ultimi anni, una reazione simile a quella di altri che erano stati ragazzi nella Resistenza; che già da segreti antifascisti avevano vinto nel periodo universitario i Littoriali e negli anni della guerra erano passati all’attività aperta contro il regime. L’ambiente in cui Sylos Labini si è affacciato alla vita della Repubblica è stato, ovviamente, quello del Partito d’Azione; amico di Ernesto Rossi, di lui più anziano di una generazione, ne ha condiviso la polemica liberale e progressista quando in Italia l’accoppiamento di questi due aggettivi era una rarità. Ma la veemenza con cui attaccava ”l’azione devastatrice del governo Berlusconi in tutti i campi della vita civile” non gli ha fatto mai dimenticare la critica ai luoghi comuni e alle false soluzioni che venivano da sinistra. Ha sempre appoggiato riforme del sistema previdenziale. Ha sconsigliato le riduzioni dell’orario di lavoro [...] quando erano di moda. Un pochino di libertà di licenziamento, se non altro nei confronti dei ”pelandroni”, non gli è mai dispiaciuta. Sempre ha cercato strumenti per realizzare equità attraverso il mercato, non facendo forza al mercato. ”Di parte” i suoi libri non erano sembrati mai. ”Se lo studioso non può sperare - ha scritto nel 1974 - di essere rigorosamente obiettivo (ciò che è impossibile) può e deve tuttavia sforzarsi di essere intellettualmente onesto, ossia può e deve cercare di vedere tutti gli aspetti di un determinato problema, anche gli aspetti per lui sgradevoli, e non solo quelli che sono conformi alla sua ideologia o utili per la sua parte politica”; anche perché ”l’economista studia la società di cui fa parte”, dunque ”non è estraneo all’oggetto del suo studio nel senso in cui si può affermare che lo sia il cultore di scienze naturali”. Diversamente da ciò che si imputa di solito agli economisti, l’occhio per la gente in carne e ossa non gli mancava mai. Già negli anni del ”miracolo”, quando gran parte d’Italia ancora lottava per uscire dalla povertà, insieme a un altro grande come Giorgio Fuà scoprì in anticipo, nell’avanguardia degli arricchiti del boom, quella tendenza all’ostentazione del lusso e allo spreco che l’antica borghesia non aveva mai avuto. Il Saggio sulle classi sociali del 1974, dirompente rispetto all’imparaticcio marxista e alla cecità benpensante che in quegli anni dominavano da lati opposti, ha profondamente influenzato il modo in cui gli italiani guardano a loro stessi. Nel suo testamento intellettuale, il Torniamo ai classici del 2005, sottotitolato Produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico, Sylos Labini era tornato a riflettere sull’impulso originario che l’aveva portato verso l’economia: più che studiare come le cose funzionano studiare cos’è che le fa muovere: come l’economia cresce, per quale combinazione di fattori si crea lo sviluppo; non come si stabilizza. [...]» (Stefano Lepri, ”La Stampa” 8/12/2005) • «Erede di Giovanni Montemartini (nonno della concettualizzazione dell’intervento dello Stato nell’economia italiana) diventa famoso individuando le interazioni tra oligopoli e progresso tecnico. All’Università La Sapienza di Roma, baroneggiando tra un concorso e l’altro, sforna libri su classi sociali, modelli dinamici di crescita, politica dei redditi. Parchissimo nelle collaborazioni giornalistiche, si appassiona al pamphlet quando la prima repubblica volge al tramonto e Silvio Berlusconi scende in campo. Ormai in pensione dall’Università, sfoggia vetriolo e veleno repressi in quarant’anni di carriera. Noto bastian contrario, i suoi amici lo venerano ma lo temono; il suo nome appare da decenni di frequente tra quelli di economisti candidati ad alti incarichi pubblici, mai tra quelli a cui tali incarichi vengono conferiti» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998).