8 maggio 2002
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Handler Ruth
• . Nata a Denver (Stati Uniti) il 4 novembre 1916, morta a Los Angeles (Stati Uniti)il 27 aprile 2002. Creatrice della bambola ”Barbie”. «L’aveva chiamata con il nome, vezzeggiativo, della sua figlia più piccola, Barbara, cioè Barbie, una ragazzina che invece di giocare con i bambolotti inventava storie appassionanti ritagliando figurine di carta dalle riviste di moda. Piccole donne al posto di neonati in plastica da cullare. Figlia di poveri immigrati polacchi, l’idea di creare una bambola con le forme di una pin-up americana e le misure di una miniatura, venne così, guardando sua figlia giocare con le immagini di cartone, in un giorno del 1959, in California, dove Ruth abitava con il marito Elliot, e i due figli, Barbara-Barbie appunto e Ken, che avrebbe in seguito dato il nome al fidanzato della bambola più famosa del mondo. [...] La sua creatura, che nel 1999 ha festeggiato i suoi primi quarant’anni, è diventata un’icona del Novecento, dipinta da Andy Warhol e studiata come una Venere degli anni moderni, oltre ad essere, naturalmente, il giocattolo più ambito da tutte le bambine della Terra. Esempio ultimissimo di un desiderio che non s’attenua mai, è la risposta che gli ayatollah iraniani sono stati costretti a dare alla Barbie statunitense, diventata a dispetto dei divieti un baby-symbol anche nei paesi musulmani, e cioè le bamboline con il chador apparse nei mesi scorsi nei negozi di Teheran, ma rimaste sugli scaffali, mentre impazza il mercato clandestino delle Barbie doc. Donna manager in anticipo sui tempi con il marito Elliot aveva messo su, nel garage di casa, una minuscola azienda di prodotti per la casa - specchi, orologi - raggiungendo un discreto successo. Nel 1942 si misero in società con un designer industriale, Harold ”Matt” Mattson, creando la Mattel, (dalle iniziali di Matt e di Elliott), deviando quasi subito però verso la costruzione di bambole, che avrebbero riempito le stanze del bambini del baby boom americano. Fu però Ruth ad avere l’idea rivoluzionaria di lanciare una bambola che potesse entrare sogni delle ragazzine, immaginandola già grande, con un seno prosperoso (le prime Barbie erano delle vere e proprie maggiorate), lunghi capelli biondi e occhi azzurri, insomma l’immagine lillipuziana dell’ideale femminile. La Barbie fu presentata alla fiera del giocattolo di New York nel 1959 e in quello stesso anno ne furono venduti 350mila pezzi. Da allora il numero delle Barbie ha superato il miliardo di esemplari in 150 paesi, cambiando etnie, mode, e incarnazioni di modelli, passando dalla astronauta all’infermiera, dalla ragazza della-porta-accanto alla diva, da figlia dei fiori a esponente del black power, con la prima Barbie afroamericana nel 1970. Negli anni Settanta però quello stereotipo di donna fu messo sotto accusa dal movimento femminista, che vedeva in quella bambolina la rappresentazione del modello donna-oggetto. Alle accuse, nella sua autobiografia rispose che Barbie rappresentava invece la ”libertà femminile”, perché ”ogni bambina guardando le mutazioni della bambola sa di poter diventare ciò che vuole”. Sulla spinta del politicamente corretto negli anni la Mattel ha anche lanciato modelli di Barbie diverse: grassa o addirittura handicappata. Con poco successo. L’avventura di Ruth e Elliot Handler si conclude nel 1975 quando furono estromessi dalla Mattel, e Ruth, dopo la morte del figlio Ken si ammalò di tumore al seno e subì una mastectomia. Una mutilazione e un dolore così profondi ai quali reagì però con grinta, e, anche, con immutato senso degli affari. Erano anni in cui ancora la ricostruzione della mammella non era ancora una prassi comune e così, vivendo in prima persona il dramma, decise di mettere su un’azienda di protesi mammarie al silicone. Anche qui successo immediato, al quale unì il suo impegno per la lotta ai tumori femminili. Ricordando lo stupore di molti quando sul mercato arrivò Barbie, prima bambola con il seno, e citando il suo nuovo business, usava dire nelle ultime interviste: ”Ho passato la mia vita passando da un seno all’altro, ne ho fabbricati a decine...”» (Maria Novella De Luca, ”la Repubblica” 29/4/2002). «Il padre di cognome si chiamava Mosko, ed era un fabbro che aveva disertato dall´esercito russo. Lei era la più giovane di dieci figli e la più intraprendente. A 19 anni andò in vacanza in California e decise che non sarebbe più tornata. Convinse il fidanzato della scuola, Elliot Handler, a seguirla, sposarla nel 1938, e studiare design industriale. Quando Elliot si laureò, cominciarono a costruire suppellettili di plastica nel garage di casa: lui produceva e lei vendeva. Il sogno americano funzionava così, e nel giro di pochi anni l’azienda familiare aveva raggiunto un fatturato da 2 milioni di dollari. [...] Nel 1956, durante un viaggio in Germania, vide in vetrina una bambola chiamata Lilli, che sembrava una ballerina del varietà. La portò trionfalmente in California, e pretese che la Mattel avviasse un progetto simile. [...] Un successo clamoroso, che ha aperto a Barbie, Ken e gli altri, le porte della Smithsonian Institution di Washington, un posto nella ”capsula del tempo”, seppellita nel 1976 con tutte le icone americane, svariati libri» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 29/4/2002).