varie, 8 maggio 2002
Vauro
VAURO (Senesi) Pistoia 24 marzo 1955. Vignettista. «[...] Uno dei tanti maledetti toscani. Le sue vignette fanno tremare i politici, indignare i preti, sussultare i benpensanti. una specie di tritasassi che non guarda in faccia nessuno, nemmeno i compagni di strada. Col suo direttore, Valentino Parlato, al ”manifesto”, litiga un giorno sì e uno no. [...] ”Devo tutto alla scuola [...] nel senso che mi consideravano un imbecille. Non pensavano che valesse la pena di perdere tempo a insegnarmi alcunché, e poiché facevo casino in classe, mi cacciavano furoi, Avevo un banco tutto per me in corridoio. Dove potevo tranquillamente disegnare. Con me c’era anche Riccardo Mannelli [...] Anche lui fuori della classe a disegnare [...] Ero un imbecille prodigio [...] Ero un gruppettaro, Lotta Continua [...] Mi piaceva Sylvie Vartan perché aveva la fessura in mezzo ai denti [...] Partii con Riccardo Mannelli per Torino. In autostop. Non avevamo una lira. Cominciammo da ”Help’, l’unico giornale di satira di allora, che addirittura ci pagava [...] Poi andammo a Milano, alla Mondadori. Marco Tropea e Laura Grimaldi che curavano il Segretissimo ci presero delle vignette. Dormivamo alla Stazione Centrale [...] Poi scoprimmo i Quaderni del Sale dell’editore Franco Ventura [...] Era un accrocco, alto un metro e niente, vestito di porpora, con tanti anelli alle dita [...] Il giornale era diretto da Pino Zac che ci assunse immediatamente e ci mandò in un grande albergo [...] L’accrocco vestito di porpora lo chiuse e noi fondammo il Male. Il Male fu una grossa scuola di satira. Purtroppo non ce ne sono state più [...] Le migliori vignette sono quelle che non condividi [...] sono convinti che la vignetta equivale a un editoriale. Lo disse un giorno Giorgio Bocca e non glielo perdonerò mai [...] Il mio motto è: ’Alzheimer macht frei’. L’Alzheimer rende liberi [...] Una vignettta è una vignetta. [...] La vignetta è un gioco cattivo, un gioco feroce. Ma è un gioco” [...]» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 15/2000). «Coscienza criminale del comunismo estetico. Oggi che gli ex comunisti sono diventati buonisti lui straborda il liquame infetto del pensare cattivo, il pensare dal punto di vista dei ”peggiori” che appunto è dolcezza pura rispetto alla compita ragionevolezza dei nostalgici del ”motto di spirito”. Satiro zompettante, condivide con il metafisico Vincenzino Gallo (Vincino), la diarchia assoluta del giornalismo in forma di vignetta. Bravo e spaizzante, è riuscito a diventare, facendo un dispetto a Forattini, l’erede della grande tradizione di destra» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998). «Non c’è momento della vita che con lui non diventi occasione per scambi di battute. Talvolta feroci, spesso spassose, sempre indifferenti a ciò che è ”politicamente” corretto”. Sono anni che viene accusato di non aver rispetto per i presidenti, di non aver rispetto per il Papa, di non aver rispetto per la religione. E lui che fa? Ride. E continua, fregandosene dell’antico adagio, a lasciar stare i fanti e a scherzar con i santi. [...]» (Gian Antonio Stella, ”Sette” n. 26/1998). «D’Alema? Ecco qua: il segretario del fu Pds (è il novembre ’95) davanti allo specchio, canottiera e pennello da barba, e l’immagine riflessa che lo centra all’occhio con uno sputo. Bertinotti? Eccolo sbucare sinuoso e trasognato da una cesta, sigaro e custodia portaocchiali d’ordinanza, mentre di fronte un Biscione incantatore suona il piffero. [...] la cifra della poetica di Vauro: ragazzaccio screanzato ma di tenace buonsenso, che sa bene quali sono le cose sconvenienti e perciò le dice. Prendete (per par condicio) il Presidente-Operaio. Una sola vignetta, fra le tante: quella in cui l’opportunismo épatant, il fregolismo ubiquitario si esalta nella scissione fisica tra la replica in tuta blu che sfila in difesa dell’articolo 18 e l’originale (?) in doppio petto che lo apostrofa, ”Presidente operaio, dove c... vai?!”. Al posto dei puntini Vauro mette la parolaccia per disteso, come ne mette spesso nei suoi disegni. Ma lo fa con gioiosa intemperanza, infantilmente (appunto) immune da volgarità. lontano dalle miserie nostrane, però, che il nostro dà il meglio di sé. Indisponibile a adeguarsi dove non capisce, per capire meglio è andato in Afghanistan e in Iraq, nei giorni più caldi, come inviato di guerra (’inviato di pace”, preferisce lui). E le vignette che ne ha ricavato sono l’altra faccia - più umana, più morale, più vera - delle verità ufficiali. Afghanistan, Iraq e dintorni. Basta guardare il bambino senza gambe che esulta per il Nobel a Medici senza frontiere: ”Fate come se avessi applaudito” (lui non può, le mani gli servono per reggersi sulle stampelle). O la vecchia cecena in mezzo alle macerie fumanti, che all’ipotesi di un ritorno alla guerra fredda domanda (e ci domanda): ”Cos’è, una battuta?”. Satira per stomaci forti, dalla forte capacità mobilitante. Con uno scopo dichiarato, riassunto nell’immagine della colomba della pace, ramo d’ulivo nel becco, cilindro in testa e dito puntato, come lo Zio Sam: ”I want you!”» (Maurizio Assalto, ”La Stampa” 10/12/2004).