11 maggio 2002
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Sarajilic Izet
• SARAJLIC Izet. Nato a Doboj (Bosnia) il 16 marzo 1930, morto a Sarajevo (Bosnia) il 2 maggio 2002. "Il più famoso poeta jugoslavo del secondo Novecento. Era un allievo di Majakovskij, e l’amava a tal punto da aver convinto la figlia Tamara a chiamare Vladimir il nipotino. Pubblicato in venti lingue, già candidato al Nobel e tradotto da Brodskij, Evtushenko, Henzensberger e Alfonso Gatto, è passato dall’icona di dissidente socialista sotto Tito e nella mutevole leadership di Milovan Gilas (la sua presidenza all’Unione scrittori durò 17 giorni) a cantore dell’assedio e del dolore vissuti in forma assoluta. Poeta pacifico, non portava rancore nemmeno ai più crudeli nemici di un tempo (i fascisti italiani che gli fucilarono il fratello a 19 anni) né a quelli di questi ultimi anni, che gli hanno ucciso per mancanza di farmaci le sorelle Nina e Raza e per ”svanimento post-bellico” l’amatissima moglie Mikica, compagna e complice di mille liriche. ”Sono un paradosso vivente - scandiva come sentenza, abbozzando un sorriso - perché stavo meglio durante guerra che oggi. Avevo ancora le donne della mia vita, ero ancora nel posto giusto. Adesso ho idealizzato quei giorni come un tempo di emozione straordinaria. Questa è pace, lo so, ma non è la stessa pace che ottenemmo il 9 maggio 1945. Milosevic è in prigione all’Aja, però la Repubblica serba di Bosnia esiste ancora e nel nostro governo federale siedono anche uomini che hanno partecipato al genocidio. Questa è la nostra forma di quasi normalità. Qualcosa ci riesce, Sarajevo è meno nazionalista ma più piccola. I soldi, però, quelli che son tanti, stanno sospesi per aria negli aerei della Nato. Non scendono mai”. Dopo Il libro degli addii (Magma editrice), atroce Spoon River della dissoluzione balcanica, ha pubblicato la raccolta poetica 30 febbraio , un giorno che non esiste come la felicità di Bosnia. E di recente Qualcuno ha suonato , che riprende una sua lirica datata, con la prefazione di un Erri De Luca che gli riconosce la capacità di pronunciare la parola ”comunismo” senza inflessioni dialettali. Il poeta dell’assedio, al quale Salerno s’accingeva a conferire la cittadinanza onoraria, parlava passeggiando fra centinaia di case, ciascuna visitata dai propri morti. ”Ora devo scrivere in prosa per un po’, il mio domani al passato. Sarà una specie di romanzo del possibile, che non è stato, e avrà un acronimo per titolo: VP, come Vojna Posta, posta militare, quella della seconda guerra mondiale quando Mikica era una ragazzina di Sarajevo e io un adolescente fra Trebinje e Dubrovnik. La posta delle nostre lettere d’amore infantile e senza fine. Il futuro sono i ricordi, ma riuscirò a essere ancora felice se sapranno smentirmi. VP è una professione di fedeltà, la coerenza di un uomo davanti al suo mondo distrutto, l’unico possibile. L’acronimo vuol dire anche Volim puno: ti amo tanto. Mikica”" (Bait Maurizio, ”Corriere della Sera” 5/5/2002).