Varie, 11 maggio 2002
SARTI
SARTI Giuliano Castello d’Argile (Ferrara) 2 ottobre 1933. Ex calciatore. Portiere della grande Inter con la quale vinse due scudetti (1964/65, 1965/66), due coppe dei Campioni (1963/64,1964/65) e due Intercontinentali (1964, 1965). Con la Fiorentina vinse lo scudetto 1955/19566, la coppa Italia 1960/61, la coppa delle Coppe 1961/62. Chiuse la carriera nella Juventus. Vanta 8 presenze in nazionale. «[...] Era il portiere di ghiaccio. Era semplice, non giocava per ”il loggione” , non faceva l’acrobata e il saltimbanco, non si esibiva. Parava. Credeva nel calcio scientifico, si piazzava freddo al centro della porta, calcolava dove la palla poteva arrivare e parava bene, parava tutto. Arrivò in serie A a 21 anni, dalla Bondenese, una squadretta del ferrarese. Il dottor Fulvio Bernardini disse: ” un fenomeno, è già nel futuro”. Il mago Helenio Herrera dichiarò: ”El hombre de la revolucion”. L’uomo della rivoluzione. Giuliano vinse scudetti e coppe Campioni e coppe Intercontinentali con l’Inter. [...] gli anni del dopoguerra, la sua Emilia, Castel d’Argile provincia di Bologna, la fatica del papà fruttivendolo. ”Ho cominciato tardi con il futbol . A diciassette anni e mezzo. Tardi e quasi per caso. Ero alto e magro e non avevo paura di niente. Il babbo mi mandava a vendere i carciofi e i limoni. Da noi si coltivavano, lui li comprava a Empoli e io partivo con la bicicletta per le campagne e i paesi. Bicicletta pesante, strade in terra battuta, un cesto davanti e uno dietro. ’Torna a casa vuoto’, diceva il mio babbo. Mi pagavano con le uova, si facevano i cambi con i contadini. Non c’erano soldi, non c’era niente. Poi il babbo cominciò a comprare i semi di zucca salati, i brustolini , e io andavo a venderli alle vecchiette, agli ambulanti davanti ai cinema. Facevano venire una sete... [...] Si giocava sui campi con gli amici, senza porte, i berretti che servivano da pali. Questo quando non ero libero dai lavori. Io non vendevo mica solo i carciofi e i limoni: c’era la risaia, la raccolta delle barbabietole. Una domenica vado a Cento di Ferrara a vedere la partita con il San Matteo della Decima. Il portiere del Decima si fa male, mi chiamano e mi spingono in porta. Ci tenevo poco, ma non volevo farmi pregare. Quello è il vero inizio. Finisco l’anno, vado alla Centese in seconda categoria. Faccio anche un provino con dei visionatori del Torino, ma mi scartano per l’età. Una sera c’è una notturna a San Felice sul Panaro, vengono quelli del Bondeno e mi propongono di cambiare categoria. Dalla seconda alla promozione, un po’ troppo. Di calcio non sapevo nulla, nessuno mi aveva insegnato a stare in porta, a parare, a mettermi in una certa posizione. Facevo tutto d’istinto. E poi avevo quasi vent’anni e dovevo anche fare la visita per il militare. ’Ti diamo centomila lire’, dice il dirigente Biagio Govoni’. Fa la visita per il soldato. Lo scartano. ’Sì, rivedibile per il torace. Due volte’, dice Sarti divertito. Resta a Bondeno. ’Sono giorni bellissini. A Bundén c’è lo zuccherificio e io mi innamoro della figlia del direttore dello zuccherificio. Non so se ha l’idea: il direttore dello zuccherificio, un’autorità, una potenza. Ma è amore non ricambiato e passa subito. Ho il calcio. Anche se in porta mi annoio, il calcio è più di un hobby [...] mi stufavo, stavo lì in piedi, fermo, la porta era lontana dagli altri, mi sentivo tagliato fuori. Passavo minuti appoggiato ai pali e spesso mi fumavo una mezza sigaretta. C’era sempre qualcuno che fumava vicino alla mia porta. E io gli dicevo: ’Me la fai fare una tirata?’. E quello diceva: ’Fai presto, che ti vedono’. Tirate svelte, sigarette pesanti. Erano le Alfa , o le prime Nazionali semplici senza filtro [...] I campi erano in riva al Po, paesi dai nomi bellissimi come Castelmassa, Codigoro, Jolanda di Savoia. C’erano i fontanazzi, infiltrazioni di acqua che si formavano dalla parte esterna degli argini del fiume. C’era molta passione per il calcio. Ma io in porta mi annoiavo. Ed è stato lì che ho cominciato ad accorciare i metri fra me e la squadra. Uscivo dai pali e raggiungevo l’ultimo difensore per cercare di toccare più palloni. Avevo aperto un nuovo corso. Ricordo che qualcuno disse: ’Quello o è scemo o è un fenomeno’. Il dirigente del Bondeno, il geometra Mantovani, mi portò a Firenze. Avevo ventun anni, ero in serie A con la Fiorentina [...] E non avevo mai visto il mare. Io dall’Emilia non ero mai uscito. Il mare l’ho visto per la prima volta a Livorno. C’ero andato con la Fiorentina, il primo anno, nel 1954. Un compagno, Beppe Chiappella, mi disse: ’Lo guardi come se tu non lo avessi mai visto’. Quel giorno mi sono commosso. Il calcio, la serie A, mi aveva regalato un’altra emozione straordinaria. Avevo conosciuto il dottor Bernardini e visto il mare [...] Uomini così non se ne costruiscono più, hanno buttato via lo stampo. Io a Firenze sono nato e rinato. Firenze era l’ombelico del mondo e Bernardini era un amico, un insegnante, un grande maestro di vita. stata una fortuna conoscerlo. Io ero una spugna e assorbivo tutto. Lo adoravamo, abbiamo vinto uno scudetto e poi siamo arrivati in finale di coppa Campioni contro il Real Madrid. Era anche un uomo buono, ironico e dolce. A me piaceva fumare e lui lo sapeva. Un giorno, dopo l’allenamento gli chiedo: ’Dottore, mi offre una sigaretta?’. Il dottor Bernardini sfila dal pacchetto una sigaretta, la stira, l’accarezza e se la mette in bocca. Poi mi regala tutto il pacchetto: Nazionali esportazioni senza filtro, il pacchetto verde, quello con la navicella”. Giuliano diventa un portiere. Poi diventa Il Portiere e a trent’anni va all’Inter di Helenio Herrera: ”Bernardini ha cambiato me, il Mago ha cambiato il calcio”. Cinque anni di grandi trionfi e una papera. La famosissima paperissima di Mantova: ”Viaggia con me da quasi quaranta anni. Me la ricordano tutti, ci è costata uno spareggio. Hanno scritto molto, di tutto. Non ci sono misteri, né disegni: è stato un errore. Non c’era il vento, non c’era il sole, volevo lanciare il pallone a Facchetti sulla sinistra, mi è sfuggito dalle dita. Tutto qui. Un errore che mi ha scosso e che però è ricordato, è entrato nella storia e nelle memorie. E questo, se vogliamo, è pure bello. Ho fatto anche un po’ di Juve, in un anno piuttosto gramo. I giornalisti mi chiamano quando c’è da ricordare una delusione, come la beffa dell’Inter il 5 maggio [...] e fanno i paragoni con la papera del 1967. [...]” [...]» (Germano Bovolenta, ”La Gazzetta dello Sport” 9/4/2005). «Sì, sono quello della papera... Accidenti, dopo 380 e passa partite in serie A, venite sempre a beccarmi per quel maledetto episodio [...] Fu colpa mia, è vero. Uno a zero, con il pallone che mi passa tra le mani. Era il primo giugno del ’67, come se fosse ieri. [...] anni che mi porto dietro quella macchia. Ah, Sarti, quello della papera... [...] Personalmente, non mi resi subito conto di avere sbagliato, e quanto. E nemmeno potevamo sapere che cosa faceva la Juve, non c’erano mica i mezzi di adesso... Al massimo qualche radiolina, ma non a bordo campo. Fu alla fine della partita, e soprattutto il giorno dopo, che venni investito dalla portata del disastro» (Chiara Basevi, ”Corriere della Sera” 6/5/2002).