Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  maggio 13 Lunedì calendario

Vizzini Gerardo, di anni 29. Belloccio, capelli lunghi, l’unico di quattro fratelli a non avere né desiderare un lavoro stabile, quando ne trovava uno si licenziava annoiato dopo due settimane

Vizzini Gerardo, di anni 29. Belloccio, capelli lunghi, l’unico di quattro fratelli a non avere né desiderare un lavoro stabile, quando ne trovava uno si licenziava annoiato dopo due settimane. La cosa irritava assai il padre Alfonso, di anni 67, pensionato, originario di Canicattì, Agrigento, emigrato a Como 25 anni fa con l’idea di lavorare sodo e farsi una rispettabilità. Martedì 7, Gerardo doveva cominciare il suo nuovo impiego in una fabbrica. Alle 6 e 30 la madre Lina tentò invano di buttarlo giù dal letto, lui per tutta risposta la prese a male parole. Il padre gli disse stizzito di sparire di casa entro due ore e uscì a raccattare ferraglie con il suo Ape Car, come faceva quasi ogni giorno nonostante i suoi due by-pass. Tornò a casa alle 11 e 30: Gerardo era beatamente spalmato sul divano a guardare la tv, dopo aver di nuovo insultato la madre. Non potendo più sopportare l’onta di un figlio così, Alfonso andò a prendere la vecchia Smith&Wesson a tamburo, l’impugnatura consunta, comprata illegalmente poche settimane fa e lasciata nel fondo di un cassetto. Tornò con la pistola in pugno e l’idea di usarla per minacciare il figlio. Si beccò un pugno in faccia e cadde. Per paura che il figlio si impadronisse dell’arma gli sparò: tre colpi, uno al torace. Al secondo piano di una palazzina popolare di Montorfano, Como.