Dario Di Vico, ìCorriere della Seraî 16/05/2002, 16 maggio 2002
Che dobbiamo concludere? «Che il prodotto nazionale lordo crescesse nel primo trimestre del 2002 dello 0,1 per cento, o dello 0,3 per cento calcolando il differente calendario rispetto al 2001, era largamente prevedibile
Che dobbiamo concludere? «Che il prodotto nazionale lordo crescesse nel primo trimestre del 2002 dello 0,1 per cento, o dello 0,3 per cento calcolando il differente calendario rispetto al 2001, era largamente prevedibile. Bastava volgere lo sguardo al rallentamento delle economie del Vecchio Continente e scontare il mancato traino della ripresa d’Oltreoceano. Non va dimenticato, poi, l’effetto Fiat: non sono più gli anni 70 quando Torino era un pezzo assai significativo del Prodotto interno lordo italiano, ma le difficoltà del maggiore gruppo industriale hanno sicuramente condizionato il rendiconto macroeconomico. Non c’è, dunque, da procedere ad alcun harakiri anche perché tutti gli istituti di ricerca sostengono che il peggio dovrebbe essere passato e che nella restante parte dell’anno l’economia è destinata ad accelerare. [8] Nessuno però si illude che il cambio di marcia possa avvenire a ritmi americani e si prevede, infatti, una crescita del Pil 2002 contenuta tra l’1,4 e l’1,5 per cento per cento. Il governo per ora resta fermo sull’indicazione del 2,3 per cento, ma lo stesso fatto che consideri queste cifre come obiettivi, e non stime, la dice lunga. Si tratterà di vedere se in sede di stesura del Dpef l’esecutivo vorrà correggere quel numero. Di sicuro, comunque, una crescita del Pil attorno all’1,5 per cento avrebbe la conseguenza di mettere in sofferenza gli obiettivi di finanza pubblica. Anche in questo caso, però, conviene restar calmi. L’Europa di queste settimane assomiglia a una pentola in ebollizione. E la temperatura potrebbe salire nei prossimi mesi in prossimità delle elezioni politiche in due Paesi-chiave come Francia e Germania. C’è poi da fare i conti con l’inatteso rafforzamento delle correnti politiche di stampo populista un po’ dovunque. è facile pensare quindi che il dibattito sul Patto di Stabilità previsto dal trattato di Maastricht si allarghi e che altri Paesi a rischio bocciatura - Portogallo, Francia e Germania - spingano per una revisione. E comunque se il centrosinistra fosse uscito vincitore dalle elezioni del 13 maggio avrebbe dovuto, grosso modo, fare i conti con gli stessi problemi».