Ermanno Bencivenga, "La Stampa" 18/5/2002, 18 maggio 2002
Nella selezione naturale è l’ambiente a mettere le specie sotto pressione, «dunque si può sostenere con un minimo di credibilità che le mutazioni che sopravvivono sono quelle meglio adattate
Nella selezione naturale è l’ambiente a mettere le specie sotto pressione, «dunque si può sostenere con un minimo di credibilità che le mutazioni che sopravvivono sono quelle meglio adattate. Ma nella selezione sessuale la specie si adatta a sé stessa: sono gli appartenenti a uno dei due sessi (le femmine, di solito) a scegliere gli appartenenti all’altro». Nella selezione sessuale la scelta avviene sulla base di ornamenti che poco hanno a che vedere con l’adattamento all’ambiente, e che addirittura, come nel caso della ruota del pavone, possono mettere in serio pericolo la vita del loro possessore, diminuendone agilità e velocità e rendendogli così più difficile sfuggire ai predatori. «Ma non importa, perché comunque chi ha gli ornamenti si riproduce e chi non ce li ha (o li ha meno vistosi) non si riproduce, quindi a meno dell’estinzione totale della specie gli ornamenti continueranno a prosperare. La selezione sessuale è una mina vagante nella teoria dell’evoluzione. Non si può negarne l’esistenza, ma occorre anche riconoscere che, nelle parole di Haldane (1932), "i suoi risultati possono essere biologicamente vantaggiosi per l’individuo, ma in definitiva disastrosi per la specie", e, in quelle di Huxley (1938), che essa può "favorire l’evoluzione di caratteri che sono privi di utilità o anche deleteri per l’intera specie"» (Ermanno Bencivenga).