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 2002  maggio 23 Giovedì calendario

Fortuyn Pim

• . Nato a Velsen (Olanda) il 19 febbraio 1948, morto a Hilversum (Olanda) il 7 maggio 2002 (ucciso in un parcheggio). Cresciuto in una famiglia cattolica conservatrice del Nordest dei Paesi Bassi, era omosessuale dichiarato. Amava le opere d’arte e gli abiti eleganti, che si faceva confezionare su misura in Italia. Studi di sociologia all’università di Amsterdam, aveva insegnato a quella di Groningen. Negli ultimi dieci anni si era costruito un nome come editorialista e commentatore politico. Aveva pubblicato decine di saggi, tra cui L’Europa senz’anima e L’Olanda soffoca. Dopo un’esperienza in ”Olanda vivibile”, partito da cui era stato allontanato per le sue posizioni troppo radicali nei confronti di immigrati, musulmani e tossicodipendenti, aveva fondato una lista che porta il suo nome. Il 6 marzo 2002, alle amministrative di Rotterdam, aveva raccolto il 34% dei voti, conquistando 17 seggi. «Non era Le Pen, né Haider. Non era antisemita. Non era nazista. Non irrideva l’Olocausto. A sentir lui, il suo modello era piuttosto Silvio Berlusconi. Ma era anche tutto ciò che Berlusconi non potrebbe mai essere: gay dichiarato, testa rasata, camicia a scacchi e pochette nel taschino, un passato da marxista, illustrato da una cattedra di sociologia all’Università di Groningen. Del nostro fenomeno politico condivideva semmai la elettrica capacità di ”bucare” il video, la infaticabile attività mediatica (è morto all’uscita dall´ennesima intervista) e la stupefacente capacità di costruire un partito in pochi mesi, farlo trionfare alle elezioni comunali di Rotterdam (35% alla prima uscita) e lanciarlo verso un clamoroso successo su scala nazionale alle politiche. [...] La sua xenofobia non era stata incubata nell’uovo del serpente nazista, non veniva dai bassifondi dell’antisemitismo. Incredibile per quanto possa sembrare, si appellava invece ai vertici di tolleranza raggiunti dalla civiltà europea. Odiava i musulmani perché non rispettavano i gay come lui, specialmente da quando l’imam di una moschea di Rotterdam li aveva paragonati ai maiali. Li voleva fermare alle frontiere perché la loro religione minacciava la libertà delle donne, il ”freee speech”, la tolleranza verso le droghe leggere e la pratica dell’eutanasia, tutto ciò che la liberale Olanda ha di più caro. Prendeva di petto il grande tabù della sinistra europea, l’illusione che la necessaria convivenza con gli inevitabili immigrati possa essere ammantata di multiculturalismo, esaltata come un ”melting pot” americano, ignorando i dolorosi mal di pancia che essa provoca non tra le élite, ma tra i poveri, le ”working class”, la gente che vive porta a porta con ”lo straniero”: ”La società multiculturale - aveva detto appena qualche prima di morire - non funziona, ci fa vivere sempre più separati, non più vicini. Dirlo non è razzismo”. Per questo, a differenza di altri movimenti xenofobi europei, non aveva varcato la linea divisoria della ”deportazione”. Non chiedeva il reimpatrio degli immigrati che già vivono in Olanda (il 10%, più che in Francia o in Inghilterra, senza parlare dell’Italia). Ma la chiusura della frontiere ai nuovi arrivi, la denuncia degli accordi di Schengen, e l’’assimilazione” culturale degli stranieri: se volevano restare, che parlassero la lingua e rispettassero i costumi del paese che li ospitava. Per accentuare l’ambiguità del suo messaggio, si era scelto un vice originario di Capo Verde e numerosi candidati di pelle scura. Quest’impasto di idee ed emozioni, spesso generico e confuso, veniva distillato però in odio, in un linguaggio crudo, arrogante, e talvolta disgustoso: ”Che cosa vogliono i tossicodipendenti? Ne vogliono di più? Una piccola overdose? Nessun problema”. E presentato con lo charme di un originale, un ”dandy”, un dannunziano, uno Sgarbi che preferiva gli uomini, viveva in una pseudo-villa romana piena di opere d’arte battezzata ”Casa di Pietro”, e viaggiava in un’elegante Daimler con autista efebico e due cagnolini sempre in grembo, Kenneth e Carla. Dicendo senza vergogna quello che milioni di europei pensano e per nostra fortuna si vergognano ancora di dire, se non nel segreto dell’urna. Era un segno della sua contraddittoria natura che fosse stato espulso dal partito estremista cui aveva aderito, ”Olanda vivibile”, perché aveva proposto, proprio lui gay, la modifica dell’articolo 1 della Costituzione che proibisce ogni discriminazione. Si era così costruito la sua lista, e in due mesi aveva sfondato nella roccaforte di Rotterdam. Per il 15 maggio i sondaggi lo davano tra il 15% e il 20% su scala nazionale, in grado di conquistare 25 seggi su 150 in parlamento, e di essere così l’ago della bilancia della complicata politica olandese, basata sul proporzionale e sui governi di coalizione, e dunque estremamente vulnerabile agli estremismi. ”Voglio fare il primo ministro”, aveva detto nell’ultima intervista» (Antonio Polito, ”la Repubblica” 7/5/2002).