Varie, 23 maggio 2002
JOVANOTTI
JOVANOTTI (Lorenzo Cherubini) Roma 27 settembre 1966. Cantante. Autore • «La storia di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, pare inventata apposta per scompaginare le categorie della cultura di massa, giudizi e pregiudizi, opinioni e pigrizie. Jovanotti nacque al successo proprio in mezzo a quella deriva etica e politica che chiamammo ”riflusso”, nei primi Ottanta, e ne fu uno degli espliciti cantori. Esprimeva allegro menefreghismo, voracità vitalistica, disimpegno, discotechismo spensierato, consumismo sfrontato. Era potente e comunicativo, bello e giovanissimo, inafferrabile e respingente per lo sguardo preoccupato (e un po’ barbogio) della critica militante e del giornalismo pensoso, assolutamente irritante per la gioia naturale con la quale viveva una giovinezza disinibita e impolitica. Scrivemmo […] cose di fuoco contro quel ragazzotto libero e giocondo, non tutte infondate se si riascoltano canzoncine come La mia moto e Gimmi five… e nessuno poteva sospettare che proprio quel tipo lì, come folgorato da una crisi adolescenziale tardiva, sarebbe poi diventato, verso la trentina, un’icona del cantare politico e dell’impegno cantautorale, quasi rovesciando la propria vicenda artistica. In realtà, ripensandoci meglio, sarebbe interessante non tanto segnalare la discontinuità, quanto afferrare la continuità della sua storia. Chiedersi, cioè, se non ci sia un nesso tra l’entusiasmo giovanilista delle origini, la folle energia danzerina, l’assenza di freni inibitori, e il sorprendente approdo ”colto” del Jovanotti contemporaneo, quello del mondialismo libertario dell’Ombelico del mondo, quello barbuto e di sinistra, pacifista e neo-hippy, più Manu Chao che Eminem, schierato e a volte ingombrante. Beh, forse quel nesso c’è: e mette in discussione, ben più di Jovanotti stesso, appunto le categorie parecchio infeltrite della critica e, volendo allargare il discorso, parecchi luoghi comuni della sinistra. Per esempio: il vitalismo, l’edonismo delle origini, la fregola nottambula, il linguaggio spiccio e molto basico dei primi rap da discoteca, perché dovevano essere necessariamente inquadrate nella categoria mortificante dell’encefalogramma piatto? C’è, evidentemente, anche una via ”leggera” alla maturazione artistica, e perfino alle buone letture e ai pensieri forti. La sprizzante adrenalina dei vent’anni, se vissuta con partecipe sincerità, è comunque, in sé, una provocazione e un disturbo, una richiesta di spazio e di speranza, una implicita protesta anti-adulta. Perché contiene l’insofferenza, il dilatarsi delle voglie e dei desideri: la canzone della svolta, non per caso, raccontava la riflessione sfibrata, e sensibile, di un nottambulo che incontra l’alba: ”Mi chiamo Jovanotti e faccio il deejay, non vado mai a dormire prima delle sei”. Quel Jovanotti lì, non ancora approdato alla maturità artistica e alla coscienza politica, era comunque già disturbante. La sua presenza in uno show televisivo del sabato non passò inosservata e soprattutto non passò liscia, quel suo parlare impudente e schietto lo portò a un piccolo scontro generazionale, di gusto e di stile, con Pippo Baudo, rappresentante insigne dell’istituzione Rai e del mondo adulto. Voglia di vivere, dunque, e voglia di esprimersi senza dannarsi a calibrare troppo parole e musica, quel cantare e ballare così come viene, dentro una logica popolare: è esattamente questo che la critica, in parte, fraintese, troppo abituata a confidare nella rassicurante solidità letteraria dei cantautori classici, e troppo diffidente nei confronti dell’esuberanza disinibita di quel ragazzotto e di quel periodo così spiazzante, gli Ottanta, che si faceva beffe di tutte le certezze e di tutti i percorsi precedenti. Eh già, si può partire dalla discoteca e dalla ”mia moto” e scoprire ugualmente il mondo, chiedersi come funziona e perché funziona male, fermarsi a riflettere, modificarsi al punto da imparare a scrivere cose ficcanti, cose preoccupanti, e cose libere, e cose critiche. In fondo Lorenzo Cherubini ha dimostrato a molte persone di sinistra […] che c’è una supponenza vecchia, e inamidata, del presumere che le strade dell’intelligenza debbano comunque e sempre passare dalle esperienze precedenti, le librerie, i cinema d’essai, i collettivi politici… […] Qualcosa si muove, eccome, sotto la buccia di un’apparente conformismo, della massificazione dei gusti. Ed è sempre qualcosa di imprevisto, fortunatamente, di sorprendente, qualcosa che non sappiamo e che appartiene a esperienze e sensibilità inedite. Jovanotti è stato, ed è, una di queste belle sorprese. Gli siamo affezionati e, per averci spiazzato così efficacemente, gli siamo anche grati» (Michele Serra, ”la Repubblica” 20/3/2005). «Cresciuto a Città del Vaticano, abitante a Cortona, cantante per diletto e comunicatore per vocazione […] Dopo essere stato un’icona del disimpegno […] è cresciuto e si è sempre espresso sulla realtà che lo circondava. Dal manifesto filosofico del 1994 (quel Penso positivo che includeva in una sola ”grande chiesa” figure disparate come Che Guevara, madre Teresa, Malcolm X, e la comunità di San Patrignano) al rap Cancella il debito con cui, dal palcoscenico del Festival di Sanremo del 2000, si rivolse direttante a Massimo D’Alema, le sue sortite hanno semre fatto comodo ai polemisti. E hanno sempre venduto moltissimo» (Guia Soncini, ”Il Foglio” 3/1/2002). «Il cherubino della sinistra new age per cui l’unica differenza tra Buddha e Cristo, per lui, è che uno è nato in India e l’altro è morto a Gerusalemme. Cacciari l’ha riconosciuto e l’ha chiamato l’Anticristo, ma piuttosto è il santino che insegna al popolo a pensare positivo così quando lo prende in parte bassa sorride e dice: ”In fondo, non è poi così male”. Dieci anni fa, quando chiedeva in giro stralunato: ” qui la festa”, si faceva prendere per idiota da Serra; allora si è messo a leggere García Márquez che con tutta l’antipatia possibile meriterebbe una fine migliore, si è fatto crescere il pizzetto, solo quello per non mancare di rispetto a BarbaMichele e BarbaEco, ha portato all’’Unità” le foto ricordo del viaggio a Cuba e quelli gli hanno regalato il titolo ”Jovanotti più mitico del Che” che magari è anche vero però tocca proprio a loro farlo sapere? Poi Veltroni deve avergli spiegato che Carlo Marx, per carità, fa sempre bene, però nel kit del buonista perfetto ci stanno meglio le bandiere di Madre Teresa e del Mahatma Gandhi, e il ragazzo, che è sveglio, ha capito al volo, così ci ha rifilato L’ombelico del mondo che, se uno a quindici anni è una persona seria, a sentirlo s’incazza talmente che va a comprare un disco di Jimi Hendrix, si scola due litri di whisky, ruba i soldi al padre e se ne va a buttane per un mese» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 17/10/1998).