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 2002  giugno 04 Martedì calendario

TABACCI Bruno

TABACCI Bruno Quistello (Mantova) 27 agosto 1946. Politico. Dal giugno 2011 assessore al Bilancio del comune di Milano. Laureato in Economia e Commercio a Parma, negli anni ’80 diresse l’ufficio studi del Ministero dell’Industria con Giovanni Marcora e, successivamente, con Giovanni Goria. Dal 1985 al ’91 fu prima consigliere poi presidente della Lombardia. Nel ’92 fu eletto deputato con la Dc, poi con il Pdl, infine con l’Udc. Nel 2008 lasciò l’Udc per iscriversi al gruppo misto fondando il movimento «Rosa Bianca». Rieletto deputato nella XVI legislatura è iscritto al gruppo dell’Unione di Centro. Nel novembre 2009 ha aderito all’Alleanza per l’Italia fondata da Francesco Rutelli • «L’appellativo di “bulldozer” se lo è guadagnato sul campo nel corso di trent’anni di scontri dentro la Dc. Al partito si iscrisse nel lontano 1964, a 18 anni. Era il pupillo dell’ex partigiano Marcora (“il mio unico maestro”), uno dei padri della sinistra democristiana, il fondatore della corrente di Base. Segretario della Dc lombarda, nell’87 divenne presidente della Regione per volere di Ciriaco De Mita. Nel ’92 sbarcò a Montecitorio ma finì nelle reti di Tangentopoli. A chi adesso glielo ricorda con malizia, risponde con uno scatto: “Ho subito due processi e sono stato assolto in entrambi per reati come il finanziamento illecito dei partiti, reati per i quali qualcuno a Botteghe Oscure se la sarebbe cavata con un sorriso”. È fatto così: orgoglioso, spigoloso. È anche convinto di non dovere molto a Berlusconi e alla Casa delle Libertà: “Sono rientrato in Parlamento dalla porta principale, perché gli elettori mi hanno riconosciuto a distanza di anni...”. Vero: è passato nel maggioritario, strappando all’Ulivo il collegio di Castigione delle Stiviere. Insomma, il “bulldozer di Quistello” intende continuare a dare battaglia […] “Sono stato presidente della più grande Regione italiana quando la Lega neppure esisteva. E lo sono stato, mi pare, con risultati apprezzabili, gestendo a tempo di record una tragedia come l’alluvione della Valtellina...”» (F. Sa., “Corriere della Sera” 19/5/2002). «Non avendo tessere da gestire, né parlamentari cui far riferimento, era considerato nell’Udc un “non allineato”, così distante da Pier Ferdinando Casini, di cui non ha mai subito l’influenza carismatica e dal quale lo dividevano i giudizi sul “mandarino di Bankitalia”, sulla rete di potere che circonda Antonio Fazio. [...] L’allievo prediletto di Giovanni Marcora era sempre in guerra con Giulio Tremonti, e non passava giorno senza una critica alla politica economica di via XX settembre. Ma all’indomani del crac Parmalat, quando parve evidente il tracollo del sistema, il presidente della Camera si affrettò a chiamarlo. Seguito a ruota dal ministro dell’Economia. Casini pensò a lui per garantire al Parlamento un ruolo nella crisi e impedire che la vicenda fosse gestita solo dal governo, in un rapporto diretto e senza mediazioni con il parco buoi dei risparmiatori, traditi e rapinati. Tremonti pensò a lui quando decise di organizzare il famoso incontro riservato tra politici e pezzi di establishment, ribattezzato come il “patto dell’Aspen”. Ora che la terza carica dello Stato gli ripete spesso “insieme siamo forti”, ora che il titolare dell’Economia lo invita al ministero per discutere sulla riforma di sistema, ora Tabacci si ritrova al crocevia dei giochi d’interesse e di potere. E può mettere a frutto la rete di rapporti dei tempi in cui era più di una promessa nella Dc: un network che va dall’amicizia con Pellegrino Capaldo a banchieri come Roberto Mazzotta, da imprenditori come Salvatore Ligresti, fino all’attuale commissario di Parmalat Enrico Bondi. In più ci sono i buoni uffici con l’opposizione, che gli hanno consentito l’unanime riconferma alla presidenza della commissione per le Attività produttive di Montecitorio. Non è un mistero che vorrebbe un giorno “stare al governo insieme a Enrico Letta”, sebbene non voglia avere “nulla a che fare con la sinistra”. E non sono di oggi le critiche a Silvio Berlusconi, al quale si sente legato per la visione comune sulla “follia distruttrice” degli anni di Tangentopoli. Per il resto, probabilmente ha rapporti migliori con Romano Prodi, di cui è amico fin dai tempi della prima Repubblica e con cui continua a frequentarsi. Perché le amicizie non si rinnegano, “anche Calisto Tanzi è stato un mio amico, ma oggi non mi fa ombra sostenere che è impossibile creare quel buco senza godere di alte protezioni”. Accade in politica che a un certo punto cambino le cose, ma ciò che conta è saper gestire gli eventi. La sua esperienza personale, fatta di successi e di rovesci, gli servirà per evitare le vertigini. Per esempio, se è vero che a Tremonti lo unisce l’obiettivo di detronizzare Fazio e di collaborare a un nuovo equilibrio nel mondo della finanza, non è detto che non tornino a dividersi. D’altronde se ne son fatte [...]: Tremonti gli ha impedito di guidare la commissione Bilancio della Camera, e Tabacci gli ha sabotato la riforma delle Fondazioni bancarie. I due si conoscono dal 1983, da quando giunsero all’Eni: uno nel Cda, portato da Giovanni Marcora, l’altro nel collegio sindacale, indicato da Rino Formica. Più tardi, molto più tardi, le strade tornarono a incrociarsi, accadde quando Tremonti lo invitò in una trattoria di Milano e gli propose di entrare nell’operazione Nord- Est, utile a stringere l’intesa con la Lega. Tabacci rifiutò e ancora adesso, parlando del Carroccio, spiega al ministro che “se li civilizzi, per me va bene. Altrimenti, ognuno per la propria strada”. Per il momento si trovano allo stesso crocevia» (Francesco Verderami, “Corriere della Sera” 24/1/2004).