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 2002  giugno 04 Martedì calendario

TORTORA Max

TORTORA Max (Massimiliano) Roma 21 gennaio 1963. Attore • «L’Alberto Sordi, il Michele Santoro, il Franco Califano, il Derrick, il Luciano Rispoli di “Convenscion a Colori”, programma di Gregorio Paolini in onda su RaiDue. “All’inizio ci rimanevo male, ci tenevo che la gente mi riconoscesse per strada. Adesso no, so che non avere faccia mi aiuta, mi metto in un personaggio e anche con poco trucco riesco a diventare un altro”. Romano, altissimo, uno straordinario attore comico, un imitatore che è riuscito, quest’anno, a centrare il bersaglio tutte le volte che ci ha provato, soprattutto con le imitazioni di Sordi e Santoro, perfetti e divertentissimi. Nel suo destino la parola televisione era scritta a lettere d’oro: “Volevo fare il conduttore, volevo fare il varietà. L’avrei fatto dovunque, anche a Rete Oro. Quando ero ragazzino passavo tutto il tempo a guardare la televisione, conosco tutti i personaggi, so quello che hanno fatto, anche cose che loro stessi non ricordano. E il sabato sera, quando i miei genitori uscivano, io entravo in paradiso e vedevo Mina, la Carrà, il Maestro Simonetti, era meraviglioso, tutto quello che volevo dalla vita era essere lì dentro”. Imitatore lo è diventato per caso e per necessità: “Non posso fare il cabarettista come gli altri, non reggo il pubblico, devi faticare come un matto, far ridere quello che sta in piedi con il bambino in braccio. Le imitazioni li avevo sempre fatte con gli amici, per conto mio, i tormentoni mi venivano naturali, ma non avrei mai pensato di farlo diventare il mio mestiere”. E invece a “Convenscion” la star è proprio lui, l’attore senza volto, che prende corpo, voce ed anima di altri» (Ernesto Assante, “la Repubblica” 20/5/2002). «Tra gli attori-imitatori più amati della nostra tv. “La tv mi ha piacevolmente travolto. Ho 15 anni di teatro alle spalle, mai avrei immaginato di diventare un Noschese del 2000: con tutto il rispetto”. Un po’ scherza, un po’ fa sul serio nel ricordare la sua brillante carriera, con accento romanesco (“Lo volemo dì che so’ n’attore a tutto tondo?”)» (Leandro Palestini, “la Repubblica” 3/3/2004). «[...] «Non c’è una regola: mi colpisce soprattutto la simpatia e poi l’ingenuità di una persona. Mi faceva tenerezza Alberto Sordi, che quando andava in trasmissione presentava solo il suo film e non rispondeva a nessuna delle domande che gli rivolgeva il conduttore. Nemmeno con Pippo Baudo a Domenica In; andava avanti per la sua strada promuovendo la pellicola». [...] ha cominciato da Luciano Rispoli. Perché? “Perché è così forbito, elegante, gentile e a me piaceva il contrasto, fargli dire parolacce: poi mi hanno detto che nella vita privata lui è così in realtà. Come lo immaginavo io”. Michele Santoro? “Mi piace molto la sua faziosità, la trovo divertente, è un po’ come quella di Emilio Fede. Anche lui ha una ingenuità su cui si può lavorare. Mi è venuto subito bene il suo timbro di voce [...]”. Vittorio Cecchi Gori? “Devo ringraziare Bruno Vespa che fece una puntata su di lui, mi attirava il fatto che fosse un bambino e che mischiasse tutto in un unico discorso senza capo né coda, come un Peter Pan. Devo dire che è buffissimo; con lui non ho mai avuto fortuna, nel senso che non siamo diventati amici”. Renzo Arbore? “Mi fa impazzire. Quando ad esempio racconta della sua musica e dice ‘adesso che posso fare il musicista’. E’ bello che un uomo che ha fatto tutto nella vita sappia riempire Piazza del Popolo. Ha i suoi vezzi: si affida sempre agli stessi collaboratori. Come Rispoli ha una corte”. Franco Califano? “È l’unico con cui ho rapporti di saltuaria amicizia. È meraviglioso, il solo che abbia davvero una doppia personalità: è un poeta da una parte e dall’altra sguazza negli istinti più bassi”. Perché non ha mai voluto imitare una donna? “Perché diventa una baracconata, hanno provato a farmi fare Amanda Lear, ma ero uguale a mia sorella e così ho smesso. Poi ho una fisicità sbagliata: sono alto 1 metro e 97. In Italia se sei alto pensano che tu possa giocare solo a pallacanestro e me lo sento dire almeno quaranta volte al giorno”. [...] I politici? “Sono meno macchiette rispetto agli anni 70. Alighiero Noschese sguazzava nella politica, oggi i leader sono più belli, più furbi, più giovani. Gianfranco Fini è imitabile. Non è difficile: lo saprei fare ma non è una macchietta, come Fanfani. Andreotti? È un fumetto e l’hanno già fatto tutti. Le mie poi non sono vere imitazioni, ma parodie: prendete Adriano Celentano, per esempio. L’ho dovuto fare per esigenze di copione ma invece di farlo molleggiato l’ho fatto immobile e smemorato”. Veramente non l’attrae nessuno, dentro il Palazzo? “No, vorrei tanto fare Rutelli, ma non ho la capacità tecnica per farlo. Se sapessi riprodurre le voci a piacimento lavorerei alla Cia o all’Intelligence”. Un altro politico? “Bertinotti mi viene bene perché mi è simpatico e mi fa pensare a Louis De Funes, un attore francese che ho molto amato. Lo propongo spesso, ma sembra che non interessi”. Quali sono le basi del suo successo? “Me lo chiedo anch’io. Posso giurare di non saperlo. Ho fatto questo mestiere da quando avevo vent’anni. Vivo di rendita sul transfert che avevo con Sordi. Credo di essere un bravo attore, ma non riesco a dimenticarlo. Sono comico e preferisco far ridere che piangere”. Perché ha studiato architettura?“Perché non capivo niente ed ero confuso. Ho avuto una maturazione lenta e se tornassi indietro studierei pianoforte. Dai 17 ai 26 anni mi ero impegnato a seguire il mio corpo per sapere dove andava, crescevo venti centimetri all’anno. Sono finito dallo psichiatra perché non mi riconoscevo più”. È così difficile essere alti? «Sì. Perché devo spiegare dettagliatamente perché non gioco a pallavolo o a pallacanestro? Per anni sono andato al cinema giustificandomi con quello seduto dietro di me. Eppoi al bar ti chiedono che tempo fa lassù? E tu o litighi o subisci. Se ti piace una ragazza l’abbordaggio è difficile e nelle foto di gruppo mi tagliano sempre la testa”. Quindi le piacciano le donne piccole? “Le preferisco, ma mio malgrado mi sono accompagnato a donne alte” [...]» (Alain Elkann, “La Stampa” 17/7/2005).