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 2002  giugno 05 Mercoledì calendario

Podio Nitai, di anni 6. Milanese, si chiamava come una divinità indiana perché suo padre, Podio Eugenio, di anni 44, disoccupato, talvolta casellante nelle autostrade, da tempo crisi d’ansia e depressione, l’abitudine di fare le pulizie di casa nudo, era appassionato di India e religione indù

Podio Nitai, di anni 6. Milanese, si chiamava come una divinità indiana perché suo padre, Podio Eugenio, di anni 44, disoccupato, talvolta casellante nelle autostrade, da tempo crisi d’ansia e depressione, l’abitudine di fare le pulizie di casa nudo, era appassionato di India e religione indù. Sabato 25 passarono la giornata insieme, cosa non frequente da quando la madre di Nitai, Maria Teresa, di anni 45, insegnante di restauro di una scuola d’arte, s’era stufata del compagno e l’aveva cacciato di casa. Rimasero tutto il giorno nel monolocale che lui aveva affittato nella zona di San Siro. Giocarono, guardarono la televisione, recitarono le preghiere alle divinità indiane, ma anche ai santi cristiani, poi andarono a dormire. Intorno alle 4 il Podio, indosso una tuta con disegni e rombi di tutti i colori, s’avvicinò al letto del figlio, lo guardò, poi lo soffocò con un cuscino. Adagiò ottanta santini indù intorno al bambino e gli si coricò accanto, avendo ingerito decine di tranquillanti e sperando di non svegliarsi più. A mezzogiorno di domenica era di nuovo vispo. Scrisse una lettera indirizzata a Dio Onnipotente e provò a suicidarsi ancora, con un filo elettrico inserito in una presa di corrente. Fallì. Cambiò metodo: si tagliò le vene dei polsi. Non riuscendo nemmeno così, chiamò il cugino perché lo aiutasse. Al quarto piano di un palazzo alla periferia ovest di Milano.