Varie, 7 giugno 2002
Tags : Umberto Bindi
Bindi Umberto
• Genova 12 maggio 1932, Roma 23 maggio 2002. Cantante. Autore • «Anticipatore di gusti e comportamenti, artista raffinato e diverso in ogni senso, poeta della solitudine. La madre, Bice Jandelli, fu abbandonata dal marito francese quando aveva 3 anni. Le condizioni della famiglia divennero precarie. Il ragazzo, taciturno e sensibile, entrò a 6 anni con la sorella nel collegio di Santa Maria. A 10 anni tornò a vivere con la madre e ricevette in regalo la prima fisarmonica. A 15 il maestro Mollini, del conservatorio di Genova, lo ascoltò a una rassegna per dilettanti e gli offrì lezioni gratuite. Finalmente entrò in conservatorio e lo frequentò per 4 anni. Considerato cantautore, ma in realtà qualcosa di più, si colloca nella realtà musicale dell’epoca come un ”diverso” in tutti i sensi. ”Abitavo da ragazzo nel quartiere Foce - confidò al Festival di Sanremo del 1996, dove approdò grazie a Renato Zero e ai New Trolls -. I miei vicini e amici erano i fratelli Giampiero e Franco Reverberi. Musicisti come me e come altri ragazzi che incontrai a casa loro e di cui divenni amico: Luigi Tenco e Bruno Lauzi. Da ragazzo avevo già molta dimestichezza con la musica. Appena entrato in conservatorio scrissi musiche per Baistrocchi, rivista goliardica che approdava nei teatri ed esiste ancora. Sulle mie musiche ballarono Vittorio Biagi, diventato aiuto di Bejart, e Paolo Bortolozzi. Ero anche schizzinoso: rifiutai di lavorare in una rivista in cui cantava una ragazza stonata. Più tardi scoprii che si trattava di Rosanna Schiaffino. Allora a Genova l’artista era un buono a nulla, un fannullone, uno che non aveva voglia di lavorare. Mamma Bice, alla quale devo molto, col tempo mi ha capito”. Il successo arrivò con varie canzoni: dapprima I trulli di Alberobello cantata dal Duo Fasano e Fierro e più avanti Arrivederci per Don Marino Barreto, vero (Mina). Le canzoni che lo lanciarono anche come interprete furono Il nostro concerto, Se ci sei e Chiedimi l’impossibile. La scrittura musicale aveva un’enfasi melodica originale. Si presentava in scena con pellicce vistose, anelli e gioielli stravaganti e atteggiamenti che richiamavano la sua omosessualità (dichiarata apertamente allo show di Costanzo). Che fu fonte di notevoli problemi: da un lato l’ostracismo della Rai e di molti impresari e luoghi di spettacolo, dall’altro piccoli guai con la giustizia come una condanna per atti osceni nel 1958 a Milano. Senza contare altri problemi connessi con la sua vita un po’ sregolata: denunce per frode fiscale, insolvenza, guida senza assicurazione. Le compagnie che frequentava non erano delle migliori: fra le conseguenze, un pestaggio subito nella pineta di Viareggio dopo uno spettacolo alla Bussola e la continua spoliazione dei suoi beni a opera di falsi amici. Nel ’67 aveva piazzato un successo clamoroso con La musica è finita, composta con Califano e cantata da Ornella Vanoni. In tutto il mondo è conosciuto per brani come Il nostro concerto, Il mio mondo, Arrivederci. Eppure la canzone che confidò di amare di più era Io e la musica, scritta con Bruno Lauzi nel 1972, quando la sua stella cominciava ad appannarsi. Riflettendo sulle ragioni del suo declino, una volta disse: ”Forse mi sono rincretinito. Passo la vita a inaugurare piano bar e probabilmente ho perso il senso del mio mestiere, della mia immagine. Vivo alla giornata. Sono un carattere mite. Faccio quello che mi si chiede, vado dove mi vogliono, ma non spingo mai per partecipare a un show tv o avere un’intervista”. Nell’agosto 1975 la madre muore, all’età di 70 anni, uccisa accidentalmente in casa da un colpo di pistola. Nel 1978, all’inaugurazione di un caffè di Bordighera, conosce il tecnico delle luci Massimo Aresi, che diventerà il suo compagno e gli sarà sempre vicino, in un continuo cambio di residenze fino all’ultima di Monterosi (Viterbo). Aresi è stato nominato erede nel testamento. Il ”patrimonio” consiste solo in un gran numero di canzoni inedite. Negli ultimi giorni appariva stanco e provato. ”Io sono solo un cantante, autore abbastanza famoso che è rimasto senza soldi e senza salute. Senza soldi sicuramente per colpa mia. Perché sono una cicala, non una formica”» (Mario Luzzato Fegiz, ”Corriere della Sera” 25/5/2002).