varie, 7 giugno 2002
CHIESA Mario
CHIESA Mario Milano 12 dicembre 1944. Ingegnere, presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, l’ambizione di diventare un giorno sindaco di Milano, il 17 febbraio 1992 fu arrestato nel suo ufficio mentre intascava una tangente di sette milioni di lire pagata dal titolare di una piccola impresa di pulizie (il 5 per cento su un appalto di 140 milioni per le forniture alla storica casa di riposo): fu l’inizio di “Mani Pulite”. Dopo che Craxi lo aveva definito «un mariuolo», cominciò a collaborare con i magistrati e fu infine condannato a 5 anni e 4 mesi («Due me li hanno condonati perché c’era una legge che l’imponeva. Quarantacinque giorni li ho fatti a San Vittore, sette mesi agli arresti domiciliari, il resto in affidamento ai servizi sociali»). Il 31 marzo 2009 fu arrestato dai carabinieri di Treviso con l’accusa di aver procurato affari illeciti a due aziende che smaltivano i rifiuti dei lavori stradali ordinati dalle pubbliche amministrazioni di Voghera e Brescia: fatti risalenti al 2005, stavolta l’accusa fu di aver distribuito tangenti, non di averle incassate. Accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato e associazione per delinquere finalizzata allo smaltimento illegale di rifiuti, il 9 dicembre 2009 patteggiò una condanna a 3 anni, il 26 gennaio 2010 ne patteggiò una a sei mesi: grazie all’indulto e ai sei mesi di carcerazione preventiva evitò il ritorno a San Vittore • «Il primo indagato dell´inchiesta Mani Pulite [...] arrestato in flagranza il 17 febbraio del 1992 nel suo ufficio da presidente del Pat, aveva appena ricevuto una tangente da 7 milioni di lire da parte del titolare di una piccola impresa di pulizie che avrebbe dovuto pagare il 10 per cento su un appalto di 140 milioni per le forniture alla storica casa di riposo milanese. Socialista, con l’ambizione di diventare un giorno sindaco di Milano, all’indomani dell’arresto venne definito da Craxi “un mariuolo” ed espulso dal partito. Ma le indagini affidate ad Antonio Di Pietro ben presto si sarebbero allargate all’intero sistema degli affari me della politica milanese dando il via alla stagione di Tangentopoli. Mario Chiesa cominciò infatti a collaborare con i magistrati chiamando in causa i vertici non solo del suo partito: dopo solo cinque mesi gli indagati erano 73 dei quali 61 in carcere o agli arresti domiciliari: 27 gli imprenditori e i funzionari pubblici, 47 i politici (17 Psi, 15 Dc, 8 Pds, 2 Pri, 1 Psi) fra i quali dieci parlamentari. Allora i magistrati parlavano di un giro d’affari di 36 miliardi: ma si trattava solo della punta di un iceberg. Mario Chiesa è stato condannato con sentenza definitiva a 5 anni e 4 mesi e ha chiuso tutti i suoi conti con la giustizia» (“la Repubblica” 4/8/2004) • «Archetipo del socialista rovinato dalla moglie, tale Laura Sala. Dopo il divorzio, lei andò da Di Pietro perché voleva un assegno di mantenimento più alto. Pare che il magistrato abbia voluto approfondire l’indagine. Ne è derivata un’inchiesta (robetta, sette milioni pagati da un’impresa di pulizie) che ha molto indisposto Chiesa: dice che, pur di condannarlo, i magistrati abbiano ecceduto nella ricerca dei riscontri. In fondo, anche lui è un padre della Patria» (Pietrangelo Buttafuoco, “Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998) • «[...] “Nell’immaginario collettivo io sono passato per quello che ha dovuto pagare il conto per tutti. Ma siccome bisognava sostenere un certo tipo di giudizio sull’operazione in corso, bisognava individuare il malvagio, come nei film western. Ed è toccata a me. Mi hanno attibuito cose infamanti, ma soprattutto false. Come la storia dei milioni buttati nel water, al momento dell’arresto, per farli sparire: balle. Non è stato giornalismo, è stato un linciaggio. Fatto con al certezza dell’immunità” [...] è stato condannato [...] “Cinque anni e 4 mesi. Due me li hanno condontai perché c’era una legge che l’imponeva. Quarantacinque giorni li ho fatti a San Vittore, sette mesi agli arresti domiciliari, il resto in affidamento ai servizi sociali [...] A San Vittore ho trovato una grandissima umanità. Lì ero un uomo che soffriva, ma in mezzo ad altra gente che soffriva. Ho trovato solidarietà persino tra le guardie [...] La vera galera, per me, è stata fuori da San Vittore. Gli sputi, gli insulti... [...] Ho commesso degli errori, ma ho fatto anche cose molto positive. Sono il presidente più rimpianto del Pio Albergo Trivulzio: quando arrivai io, nel 1986, i vecchi stavano in cameroni degni di un lager. Con me il Pat è diventato una struttura moderna, efficiente, pulita. Se devo fare un bilancio, credo di essere in credito con la società. Anche perché per le mie colpe ho pagato”. [...]» (Michele Brambilla, “Settte” n. 51-52/2001).