Varie, 7 giugno 2002
CONSOLO Vincenzo
CONSOLO Vincenzo Sant’Agata di Militello (Messina) 18 febbraio 1933. Scrittore • «È la prova vivente che così come non basta avere due gambe e una testa per sentirsi un uomo, non è sufficiente essere nato a Sant’Agata di Militello e avere scritto molti libri per diventare uno scrittore siciliano. Perché poi si sente il sudore con cui ha impastato le sue parole dure per cercare di farle scivolare sulla pagina; si vedono le impalcature cui ha incollato le sue fragili storie per evitare che gli cadessero addosso; si capisce che nella valigia con cui trenta e più anni fa è sbarcato a Milano si è portato dietro qualche pietra dell’Etna come souvenir, una nacchera strappata da un carretto e un vecchio volume dei Malavoglia per rincuorarsi col pensiero che anche Verga un giorno andò a posare la sua sedia sotto il Duomo. Ma don Gesualdo lo vedevi dalla sua ombra che era siciliano, mentre l’ignoto marinaio era così ignoto che ha dovuto aspettare lo sbarco dei leghisti a Palazzo Marino per strillare “Mamma li turchi” come una vergine vogliosa e annunziare di avere già prenotato il posto sul Milano-Catania, tariffa week-end; per poi annullarlo quando si è accorto che i Formentini e i Bossini non ce l’avevano poi tanto duro. E perso quest’ultimo aereo, cerca di consolarsi, consapevole di non poter mai diventare uno scrittore siciliano”» (Pietrangelo Buttafuoco, “Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 10/10/1998) • «Sono uno scrittore che si inquadra in una linea parallela a quella comunicativa o razionalista. È la stessa linea sperimentale o espressiva che il suo archetipo in Giovanni Verga, il primo sperimentatore linguistico della letteratura moderna. […] Pasolini ha definito la lingua di Verga un italiano irradiato di dialettalità. La mia sperimentazione ha un’altra tecnica: cerco di immettere nel toscano quelli che sono i reperti linguistici dei ricchi giacimenti che ci sono in Sicilia. Prendo parole talvolta di origine araba, greca o latina e li innesto nel codice linguistico centrale. Non è un’esigenza estetica, ma etica. Credo di poter rappresentare così realtà diverse da altre realtà e poi da un’esigenza di memoria. […] Verga diceva che la distanza gli serviva per vedere con realtà e chiarezza qual era la realtà magmatica siciliana. Curiosamente la stessa cosa la dice Gogol da Roma. Solo da Roma gli era possibile parlare dell’immensità della realtà russa. Questa distanza è fisica, ma anche psicologica. Ma c’è anche chi stando in Sicilia ha saputo prendere una distanza razionale. […] Abbiamo sempre sentito, noi che siamo nati e cresciuti in questa estrema periferia dell’Europa, il bisogno di raggiungere un centro ideale che di volta in volta poteva essere Roma, Firenze, Milano oppure Parigi. È quello che Salman Rushdie ha definito la patria immaginaria. […] Parlare di sé è imbarazzante: è difficile conoscersi bene, devono essere gli altri a definirti, pirandellianamente. Io posso dire solo la carta di identità, dare luogo e data di nascita e il mio percorso letterario. […] I due libri che ho scritto con più gioia sono stati Lunaria, che è una sorta di favola teatrale ambientata nella Palermo vicereale del Settecento e poi dello stesso clima è Retablo che è quello che ha riscosso più simpatie tra i lettori perché è un romanzo di passione amorosa e di peregrinazione. […] Scrivo molto e pubblico poco. Sono convinto di pubblicare un libro solo quando penso che abbia una sua plausibilità e che abbia anche una sua consequenzialità rispetto ai libri che ho pubblicato prima. […] Lavorando sulla lingua non ho la felicità stendheliana. La mia scrittura è elaborata e metto in campo una sorta di musicalità e ritmo della frase, con la quale spero di tenere il lettore legato alla pagina» (Alain Elkann, “La Stampa” 22/2/2004).