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 2002  giugno 07 Venerdì calendario

ZIGONI

ZIGONI Gianfranco Oderzo (Treviso) 25 novembre 1944. Ex calciatore, in serie A ha giocato 265 partite (Juventus, Genoa, Roma, Verona) segnando 63 gol. Con la Juventus ha vinto lo scudetto 1966/67. Vanta una presenza in nazionale: vittoria per 1-0 in Romania il 25 giugno 1967. «Il genio beat del Verona anni 70. Zigogol, che porta Che Guevara anche al collo, applicava il teorema di Robin Hood: ”Detestavo gli arbitri, tiranni al servizio delle squadre più potenti, e fregarli non era solo un piacere ma un dovere per chi giocava in una squadra di provincia”. Avendo giocato anche nella Juve sapeva di cosa parlava» (Emilio Marrese, ”la Repubblica” 10/10/2001). «Nei turbolenti inverni degli anni Settanta era solito indossare una pelliccia bianca e portava la pistola infilata nella cinta dei pantaloni. ”Sognavo di morire sul campo, con la maglia del Verona addosso. M’immaginavo i titoloni dei giornali e la raccolta di firme per cambiare il nome allo stadio: non più Bentegodi, ma Gianfranco Zigoni. La radio avrebbe gracchiato: ”Scusa Ameri, interveniamo dallo Zigoni di Verona...’. Ero pazzo furioso”. […] Anarchico era e tale è rimasto. Vive in un paesone di origini romane, l’antica Opitergium, ma non vuole che se ne faccia cenno: ”Guai a voi se nominate questa cittadina”. Ok Zigo, ma un posto bisogna indicarlo. ”Scrivi che ci siamo visti al quartiere Marconi, il mio Bronx. Da bambino ci giravo armato di fionda, più cresciuto tenevo sotto controllo il territorio con la carabina”. […] Motto ”la gloria è tutto e il tutto è nulla” e tre immagini dominanti: Ernesto Che Guevara, con la scritta ”o patria o muerte”, Padre Pio e la Madonna. […] ”Mio padre si è rovinato i polmoni a furia di lavorare nella fabbrica delle schifezze, uno stabilimento che ha ammazzato tanta gente di questo posto. Mio padre è morto e lui, il padrone, vive in un castello con parco annesso. Queste sono le ingiustizie. Se fosse vivo il Comandante... Io da giovane volevo fare la rivoluzione” . […] ”Ho accumulato più giorni di squalifica che gol perché non sottostavo ai soprusi degli arbitri. Dicono: bisogna credere alla buona fede di quei signori. Ma per favore, ho visto furti inimmaginabili e ho pagato conti salatissimi. Una volta mi diedero sei giornate di squalifica e trenta milioni di multa perché dissi a un guardalinee di infilarsi la bandierina proprio là. Trenta milioni degli anni Settanta: all’epoca con quei soldi compravi due appartamenti. Il prezzo della mia libertà di opinione”. Gli aneddoti sgorgano (’Ho un unico rimpianto, essermi tagliato i capelli alla Juve: ma ero troppo giovane, non avevo la forza di ribellarmi agli Agnelli”) e si arriva a Pelé: ”Sta’ a sentire, io avevo una grande opinione di me. Pensavo di essere il più forte calciatore sulla terra. In campo odiavo l’avversario e lo colpivo col mio pugno, che era micidiale. Fuori gli volevo bene e lo invitavo a bere un whisky. Un giorno, alla Roma, capita di incontrare il Santos di Pelé. In amichevole, all’Olimpico. Mi dico: ”Oeh, giustizia sarà fatta, oggi il mondo capirà che Zigo-gol è più forte di Pelé’. Lo aveva già detto Trapattoni dopo un Genoa- Milan 3-1 degli anni Sessanta, tripletta mia. ”Ragazzi – dichiarò il Trap quel giorno – Zigoni è meglio di O Rei’. Lo aveva ammesso Santamaria, gran difensore, dopo una sfida Juve-Real Madrid. Io avevo fatto impazzire il Santa, finte e tunnel, e quello a fine partita si rivolse così a Sivori: ”Sto chico è migliore del negro’. Ero convinto della cosa, mi sentivo più bravo di Edson Arantes e di tutti i suoi cognomi. Poi arriva l’amichevole col Santos, vedo Pelé dal vivo e mi prende un colpo. Madonna, che giocatore. Ho una botta di depressione, di malinconia, penso che a fine partita annuncerò in mondovisione il mio ritiro dal calcio. Mi preparo la dichiarazione in terza persona: ”Zigoni lascia l’attività, non sopporta che sul pianeta ci sia qualcuno più forte di lui’. A un certo punto il Santos beneficia di un rigore, Pelé va sul dischetto e Ginulfi, il nostro portiere, para. Allora è umano, penso, e così resto giocatore”» (Sebastiano Vernazza, ”La Gazzetta dello Sport” 25/10/2002). «Prima di entrare in campo dicevo a me stesso che nessun essere umano poteva fermarmi, solo Dio. Ma per me Dio non esisteva, quindi ero pronto a fare sfracelli. Poi magari me ne stavo fermo in attacco, senza fare nulla. Sentivo qualcosa di strano che mi bloccava, come se fosse Dio. Certe volte non vedo l’ora di morire per scoprire se c’è. Me lo immagino che mi aspetta al varco per dirmi: ”’Hai visto Zigo? Ero io che ti marcavo stretto’ [...] ho fatto quasi 100 gol in più di 300 partite fra serie A, B e Coppe: potevo farne mille se non ci fosse stata di mezzo quella forza misteriosa. Ma forse un vero perché non c’è. Si vede che era destino [...] odio le visite mediche e da giocatore mi rifiutavo di farle. Quando ero al Genoa ero l’ultimo della fila, un mio compagno svenne alla vista di un ago e io scappai come una bestia [...] Il grande Ernesto Che Guevara mi ha insegnato tanti valori. Ho tutti i suoi libri e quelli che lo riguardano, anche in spagnolo. Sono diventato amico di Paco Ignacio Taibo II, il suo biografo, una bella persona. A Cuba? Non ci sono mai stato, non me lo posso permettere, ma chi si accontenta gode e io godo. Ho girato tanto, ma in realtà non me ne sono mai andato dal mio quartiere, qui a Oderzo, che chiamavano Bronx. C’era tanta povertà allora, ma anche molta dignità. Io comunque non mi sento veneto o italiano. Mi sento cittadino del mondo e ho valori diversi da quelli che hanno caratterizzato la mia terra, soprattutto negli ultimi venti anni: qui c’è tanto denaro e poca testa, ma io credo che se non hai cultura sei davvero un poveraccio [...] ho esordito a 17 anni e 15 giorni con la maglia della Juve al posto di Sivori, ma ti rendi conto? Ero di un’insicurezza incredibile, mi hanno lasciato in un angolo senza dirmi niente, non come faccio io coi ragazzi. E poi in campo mi sono ritrovato con le gambe di marmo. [...] Ce l’ho con chi esaspera gli animi, con il finto fair play e con chi fa scenate senza aver subito nemmeno fallo. Una volta a San Siro mi hanno dovuto fermare in quattro: volevo ammazzare l’avversario che mi aveva fatto un male cane. Sono stato espulso, ma non mi hanno squalificato e il pubblico di San Siro, che è sempre stato di veri intenditori, mi ha applaudito. Si vede che ogni tanto la giustizia c’è. Oggi penso che calciatori come Del Piero e Tommasi siano di grande esempio, come lo è stato Roberto Baggio e come lo è da quindici anni Paolo Maldini, il più grande calciatore italiano. Io non ero un esempio, ma del resto non lo era nemmeno Maradona, che pure è uno con un cuore grande così. Fra i tre migliori di sempre ci metto lui e Pelé, naturalmente [...]» (Paolo Tomaselli, ”Corriere della Sera” 24/11/2004).