Sergio Zavoli, "Il Giorno", 9/6/2002 pagina 35., 9 giugno 2002
«Federico conobbe le "case" con un gruppo di coetanei: Titta, Mario, Luigino e Nicola. Nicola era già così esuberante che lo chiamavano Pistolone
«Federico conobbe le "case" con un gruppo di coetanei: Titta, Mario, Luigino e Nicola. Nicola era già così esuberante che lo chiamavano Pistolone. Fu lui a bussare e a venire inghiottito da un antro misterioso. Vi rimase dai cinque ai dieci minuti, poi riapparve in un trambusto di manate, di calci, di colpi inferti con una pantofola. Aveva appena dichiarato alla ragazza, prodigatasi da par suo, di non avere un soldo. Fellini apprese in quell’occasione tutto quello che ci mostrerà nella più torbida e struggente sequenza di Roma: la sua unica fonte era Pistolone. Federico sperimentò il casino (oggi la parola è d’uso comune, ma allora provocava brividi e ceffoni) due anni dopo, a Forenze, in un vicoletto dietro il Baglioni. Aveva 18 anni. Si era presentato da Nerbini per mostrare delle vignette, e Giove Toppi, il famoso figurinaio che da solo disegnava tutto il "420", tanto le apprezzò che per festeggiare decise di condurre il giovane collega, pallido, consunto dai desideri, proprio lì, nel luogo deputato del piacere, come si chiamava una volta quello che oggi si dice "far sesso". Immerso in quell’abisso di lusinghe, sulle prime stette a guardare. Il resto accadrà come tra polipi, in un viluppo maldestro. Avvinto e sgomento, credo che gli restò addosso solo una certa malinconia e l’odore del permanganato. Il resto della carriera non lo conosco, ma penso che si sia svolto in una ghiotta, seppure ormai educata, curiosità» (Sergio Zavoli nel suo ultimo libro "Diario di un cronista").