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 2002  giugno 11 Martedì calendario

CATRICALÀ Antonio

CATRICALÀ Antonio Catanzaro 7 febbraio 1952. Giurista. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Monti (2011-). Già presidente dell’Antitrust (dal 2005). Alla fine del 2010 fu vicinissimo a passare all’Authority dell’energia. Laurea in legge a Roma fu nominato, dopo un concorso, assegnista universitario presso la prima cattedra di diritto privato (La Sapienza - Facoltà giuridica). A 24 anni vinse il concorso in magistratura, e superò l’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense. Vinse i concorsi per procuratore dello Stato e, a 27 anni, per avvocato dello Stato. Vinse il concorso per consigliere di Stato nel 1982. Presidente e componente di collegi amministrativi, collaborò con l’Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri e fu Capo di Gabinetto in diversi ministeri: nel 1994 alla Funzione Pubblica con Urbani (primo governo Berlusconi) e poi con Frattini (governo Dini); nel ’96 alle Comunicazioni con Maccanico (governo Prodi), nel ’99 ancora alla Funzione Pubblica con il ministro Piazza (governo D’Alema). Fu anche segretario generale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Professore a contratto alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tor Vergata, dove insegna diritto privato • «[...] un grand commis d’Etat che alla presidenza del Consiglio, nello stesso ruolo, è stato con D’Alema e Amato prima, e confermato poi da Berlusconi che lo ritenne “indispensabile non solo per me, ma anche per Gianni Letta”. E il perché è presto detto. A Catricalà Berlusconi ha affidato la delicata riforma della “macchina organizzativa” di Palazzo Chigi [...] per mettere in condizione l’esecutivo di funzionare al meglio, e di essere perfettamente operativa anche nelle emergenze [...] E va detto pure che a Palazzo Chigi, nel ruolo di segretario, a Catricalà è capitato di occuparsi proprio di tutto, anche della qualità dei francobolli italiani e di un particolare tipo di clandestini, gli scorpioni velenosi: quando ne furono trovati a centinaia che appestavano, importati da cittadini sconsiderati, le dogane dell’aeroporto, toccò a lui avvisare il presidente del Consiglio che l’Italia non aveva una legislazione adeguata al caso. [...] pure da capo di gabinetto della Funzione pubblica, alla quale fu candidato ministro sino all’ultimo, sino a che Fini non spinse sul nome di Mazzella quando si trattò di sostituire Frattini divenuto capo della Farnesina, ha lavorato con Urbani nel 1994. Ma quando l’Ulivo vinse le elezioni nel 1996, Maccanico lo volle con sé alle Poste nello stesso ruolo. Tra l’altro, è uno degli uomini che ha tenuto materialmente in mano la penna con cui è stata scritta la legge Maccanico, e ha esperienza di Authority in quanto è stato segretario generale di quella per le Comunicazioni. [...]» (“La Stampa” 19/2/2005) • «Quando Antonio Catricalà, poche settimane dopo l’arrivo di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, fu nominato segretario generale della Presidenza del Consiglio, la cosa non stupì proprio nessuno. Nemmeno quelli che conoscevano tutto del suo passato. E soprattutto sapevano come uno dei più giovani consiglieri di Stato entrati per concorso a Palazzo Spada, a trent’anni di età, fosse conosciuto come un autentico campione di trasversalità. Amico di Franco Frattini, aveva collaborato con Antonio Ruberti, Giuliano Amato, Antonio Maccanico, Giuliano Urbani, Angelo Piazza. Era stato persino segretario generale dell’autorità delle comunicazioni, epoca dell’Ulivo. Destra e sinistra, senza che mai gli restasse un’etichetta addosso. Non che la passione politica gli fosse estranea. “Sono figlio di un repubblicano e sono stato, in passato, di area laico socialista”, ha confessato un giorno al Corriere. Lo ricordano, infatti, giovane socialista, apprendista di quella scuola che porta il marchio di Nino Freni, il “capostipite” della moderna burocrazia laica, già stretto collaboratore di Amato e Franco Bassanini. [...] Calabrese di Catanzaro, è calabrese al punto da partecipare con orgoglio alla “Festa dei calabresi nel mondo” fianco a fianco con il calciatore del Milan Rino “Ringhio” Gattuso e il presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti. Il sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta, che sotto sotto è stato uno degli artefici del suo balzo all’Antitrust, lo porta in palmo di mano. Cordialmente ricambiato. Catricalà conosce tutti i segreti della pubblica amministrazione, dove si muove con discrezione e abilità. Ha fama di persona capace nella gestione dei rapporti, ma anche decisa. Per qualcuno pure troppo. Una volta il capo del sindacato autonomo di Palazzo Chigi, con cui stava trattando il rinnovo del contratto, lo paragonò al pirata Ochiali, turco ma in realtà pare di origini calabresi, conquistatore di Cipro. “Credevamo che la sua carriera fosse finita il 7 ottobre 1570. Ci siamo sbagliati, 431 anni dopo ha un successore a Palazzo Chigi”, scrissero a Berlusconi [...]» (Sergio Rizzo, “Corriere della Sera” 19/2/2005) • «[...] “[...] È fondamentale che a studiare i disegni di legge ci siano dei tecnici: l’amministrazione deve essere neutrale. Sempre. È una garanzia, prima di tutto per i cittadini e anche per i ministri… Al politico con cui si lavora bisogna anche saper dire dei bei no, spiegare che non tutto si può fare. È più importante avere una personalità forte che una tessera di partito”. Riservato e appartato, è uno di quei nomi noti soltanto agli addetti ai lavori. La sua stanza, al primo piano di palazzo Chigi, è il centro operativo della nuova classe dirigente al potere. Su di lui, prima di incontrarlo, ho trovato in archivio soltanto due trafiletti, usciti all’atto della sua nomina. Eppure, ha lavorato con tanti, in modo trasversale: da Giuliano Amato ad Antonio Ruberti, da Giuliano Urbani e Franco Frattini ad Antonio Maccanico, con cui ha realizzato la liberalizzazione delle comunicazioni durante il governo Prodi. Scegliendo di restare fuori dal campo: “Sono figlio di un repubblicano e sono stato, in passato, di area laico-socialista. Ma mai parteciperei ad una competizione elettorale… mio padre Celestino, avvocato a Catanzaro, mazziniano convinto, si candidava per il Pri a tutte le elezioni. Portava i suoi 7-800 voti al deputato locale, si finanziava anche i volantini da solo, eppoi passava il resto del tempo a occuparsi, gratis, dei suoi elettori. Era un penalista, ma non difendeva la mafia. Era generoso e onesto. Una volta evitò il carcere ad una ragazza calabrese che aveva decapitato il padre che dormiva. L’aveva violentata, prima di addormentarsi… e mio padre dimostrò l’eccesso colposo di legittima difesa. Il processo si teneva a Milano, e papà, prima di partire, comprò il primo e unico cappotto della sua vita”. Cinquant’anni, una laurea in legge conquistata a 22 “con tanti sacrifici, miei e dei miei genitori. Arrivai a Roma, mi installai in una pensione e poi in un appartamentino nella zona università, come tanti ragazzi fuori sede. Volevo sbrigarmi, feci 23 esami in 3 anni, sentivo la necessità di non pesare sui miei, che mantenevano agli studi anche le mie sorelle, all’università di Firenze”. Laurea, borsa di studio, concorsi pubblici. Sempre con il massimo dei voti. Il ragazzo di Catanzaro non torna in Calabria: diventa prima magistrato, poi avvocato dello Stato e a 30 anni entra al Consiglio di Stato. Cento persone in tutto, 30 presidenti e 70 consiglieri, incaricati di regolare i rapporti fra noi cittadini e le istituzioni: il Consiglio rappresenta il massimo grado della giustizia amministrativa. All’inizio degli anni Ottanta, Catricalà e Franco Frattini, anche quest’ultimo giovanissimo, vengono catapultati nel maxiprocesso Moro. “Difendevamo la presidenza del Consiglio per Moro, l’arma dei carabinieri per Varisco, il Csm per Bachelet, il ministero dell’Interno per l’uccisione della scorta… Chiedemmo danni alle Brigate Rosse per centinaia di miliardi. Tutti quelli che possedevano qualcosa ebbero dei sequestri. Fra loro, mi pare la Faranda… Quella fu un’occasione unica, per noi giovani giuristi. Il caso Moro coinvolse tutta Italia”. Il Consiglio di Stato è anche uno dei serbatoi da cui i politici pescano i loro uomini migliori, quelli che cercano di tradurre in sofisticati marchingegni burocratici i loro annunci e le loro promesse. “Dobbiamo adeguare i percorsi amministrativi alla politica del ministro, costruire il consenso attorno alla sua proposta, evitare che venga contestata da altre amministrazioni o tribunali, ed arrivare in consiglio dei ministri pronti a reggere i confronti e i contrasti”. Dodici ore di lavoro al giorno, “sempre meno delle 20 di Letta… quando arrivo in ufficio, al mattino presto, lui è già arrivato. Quando vado via, sempre attorno alle 22, c’è ancora. Quando se ne va, passa a casa del presidente per far firmare ancora le ultime carte. E di notte, se lo chiami alle quattro per un’emergenza, lo trovi pronto a scattare. È un uomo incredibile…”. Guida un piccolo esercito di funzionari: 2.000 di ruolo, 1.500 comandati in altri uffici, lavorano nelle 32 sedi che dipendono dalla presidenza del Consiglio. Da quando è arrivato lui, il personale è sceso di cento unità e le assunzioni sono state sospese. Risultato: Fulvio Ferrazzano, del sindacato autonomo interno, ha scritto una lettera di fuoco a Silvio Berlusconi per protestare contro “il pirata calabrese Catricalà. È abile e intelligente, scaltro, capace e… avaro! Ha consegnato alle organizzazioni sindacali una proposta di accordo che grida vendetta al cospetto di Dio. La sua durezza ricorda quella del corsaro Ochialì, terrore della cristianità, un ragazzo calabrese allevato dai turchi e poi convertito al’’Islam… Ochialì conquistò Cipro, saccheggiò Creta e concluse la sua carriera il 7 ottobre 1570. Da allora, signor presidente, pensavamo che il tempo dei bucanieri fosse finito e che i corsari avessero abbandonato il Mediterraneo. Ci siamo sbagliati: 421 anni dopo, Ochialì ha un successore a palazzo Chigi”. La lettera gira nel palazzo. Lui la guarda e finalmente sorride… “Meglio pirata… Sa che significa essere per anni il capo di gabinetto di un ministro? Ti ritrovi con le figlie che si vergognano di dire in classe che mestiere fa il padre. Una volta la piccola si mise a piangere. Forse, i compagni la prendevano in giro”. L’uomo che governa la stanza dei bottoni ha poco tempo per la vita privata. “Per fortuna, mia moglie Diana è molto impegnata. Lavorava qui a palazzo, per evitare problemi si è trasferita al Tesoro, dove continua ad occuparsi di controllo di gestione. E le mie figlie, alla sera, mi fanno trovare delle letterine d’amore. Mi scrivono: papà, ti vediamo poco, ma ti pensiamo sempre”. Estate a Punta Ala. Come Letta? “Abbiamo lo stesso maestro di tennis”. Unica passione dichiarata: “I soldatini. Conservo 350 pezzi unici: sudisti e nordisti, sono i soli che amo collezionare”. Prima di salutare, cerco i famosi bottoni… Vedo solo un telefono pieno di tasti, connesso con il leggendario centralino del governo, in grado di far parlare tutti con tutti, in lungo e in largo per il pianeta. Lo conosco bene, è lo stesso dei tempi di Spadolini. Ha almeno vent’anni, osservo. “Avremo presto un nuovo sistema, superdigitale, con un numero di linee infinite… Una meraviglia”. Senza bottoni, però» (Barbara Palombelli, “Corriere della Sera” 267/5/2002).