varie, 11 giugno 2002
DEFILIPPIS
DEFILIPPIS Nino Torino 24 marzo 1932, Torino 13 luglio 2010. Ciclista. Cominciò a correre nel 1948 e diventò professionista nel 1952 indossando subito la maglia rosa a soli 20 anni, terzo nel Giro del 1962 a 5’02” da Balmamion. Due volte campione d’Italia, possiede un curioso record: è il corridore italiano che ha vinto più tappe, fra tutti quelli che sono andati a segno al Giro, al Tour, alla Vuelta e al Giro di Svizzera. Fu anche commissario tecnico della nazionale azzurra ai mondiali di Barcellona nel 1973, quando Gimondi compì uno dei suoi capolavori battendo Merckx • «’Ero con Fausto Coppi sullo Stelvio, mi affianca, mi passa in curva. Mi vengono ancora i brividi addosso a distanza di quasi 50 anni. Mai più visto niente di simile in bicicletta, mai, nemmeno Anquetil e Merckx. Sembrava che fosse in moto”.Con questo ricordo comincia il suo libro I miei Campioni, racconti di un’’epoca leggendaria, in cui il ciclismo rappresentava in Italia e nel mondo qualcosa in più di una semplice disciplina sportiva. Era il ciclismo dei miti, degli eroi sporchi di fango, persino brutti a vederli sulla sella, ma grandi uomini dentro e con un solo valore per rappresentare lo sport: la lealtà. rimasto l’emblema di quel ciclismo, con la schiena un po’ curva, le gambe logorate da qualche artrosi di troppo, le manone callose. E alla parola doping, batte il suo grosso pugno sul tavolo: ”Basta con le ipocrisie. Con i luoghi comuni e soprattutto con le fandonie. Nemmeno noi eravamo dei puritani. Certo, non esistevano queste cose, chiamiamole pure droghe o alchimie, ma qualcosa c’era. Non sapevamo cos’era, non riuscivamo a capire se migliorava o meno le nostre prestazioni, però qualche pasticca c’era, eccome se c’era […] Erano sostanzialmente tre: simpamina, stenamina e methedrina. Tutte della famiglia dell’efedrina, per intenderci. Erano pasticche che ci portavamo dietro, e durante la corsa si mandavano giù. Ma io ero più per il caffè freddo. Quello sì che era un doping in grande stile. Fino al giro del Lazio del 1956 non conoscevo altro, la simpamina è arrivata dopo, grazie ai belgi. In corsa ci avvicinavano: dai prendi queste pastiglie, vedrai come pedali dopo. Sinceramente non vedevo effetti immediati. Però la prendevamo, quella pastiglietta. Ho perso delle gare prendendo anche 2-3 pastiglie per tappa ed ho vinto delle corse, anche importanti, con il solo pane, gorgonzola e marmellata. Fate voi, ancora oggi mi chiedo se valeva la pena prendere quella roba. Solo una volta mi sono pentito: al Tour del 1958. La simpamina per le cronometro potevamo prenderla anche in fiale, con una bella puntura. Prima della tappa, 70 km (non 30 come adesso) vado dal medico con la siringa pronta, gli dico fammi sta puntura. Lui la prende e me la versa tutta per terra, mi dice: vai e pedala, stupido. Io vado e pedalo: Anquetil primo, io secondo a 1’20’’. Mi chiedo ancora oggi: avrei potuto vincere?”.E quelle pastiglie un giorno non riusciva nemmeno a trovarle, eppure: ”Era il giro di Lombardia del 1958, arrivavo da 18 corse vinte, non ne potevo più. Dissi a Giacotto, manager della Carpano, che non me la sentivo. Per convincermi mi portò nella gioielleria Piovano e mi promise un anello per mia moglie: parti, mi disse, poi ti ritiri. Parto. Non faccio il rifornimento perché pensavo di ritirarmi, ma le gambe rispondono bene, passo per primo sul Ghisallo e batto pure il record, cerco le pastiglie, non le trovo, bevo acqua e vado liscio come un treno, fino in fondo, non vinco, ma stravinco, senza simpamina, senza il panino”.Ma secondo lui conta anche molto l’alimentazione: ”Adesso hanno gli integratori. Noi avevamo la borraccia d’acqua, qualcuno la birra. Poi i panini: prosciutto, gorgonzola e marmellata, pollo e prosciutto o carne cruda. Altro che doping! Le trasfusioni? Sono arrivate negli Anni 70, purtroppo. Forse è lì che è cambiato il ciclismo”» (’La Stampa” 24/5/2002).