Varie, 11 giugno 2002
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Evans Cadel
• Katherine (Australia) 14 febbraio 1977. Ciclista. Campione del mondo 2009, vincitore del Tour 2011 (2° nel 2007 e nel 2008) e della Freccia Vallone 2010 (2° nel 2008), secondo nel Giro di Svizzera del 2006, 3° nella Vuelta del 2009, miglior piazzamento al Giro il 5° posto del 2010 (un giorno in maglia rosa, come nel 2002). Cominciò con la mountain bike vincendo la Coppa del Mondo nel 1998 e nel 1999 • «Cadel, in gaelico, significa “guerriero”, “lottatore”. Evans, in inglese, battezza generazioni di rugbisti. Da radici gallesi e sangue australiano, il giorno di San Valentino 1977, non nasce un pallone ovale, ma un bambino rotondo. Che non sta fermo un attimo. Oceano: surf. Nuoto: dorso. Calcio: a centrocampo. “Ma siccome abito in campagna, e non trovo mai nessuno con cui giocare, mi dedico alla bici: prima bmx, per le acrobazie; poi mountain bike, per i salti; infine strada, crono e linea. Pista no: c’è un limite”. Ma gli australiani sono fatti così: senza fissa di mora. Cadel, in Europa, arriva nel 2001: ciclismo su strada. Abita due anni da uno scultore, Pietro Scampini, a Castronno, dove l’aria, quando tira tramontana, sa di Svizzera. Un’osteopata di Gallarate gli sistema l’equilibrio del corpo, poi gli fa conoscere Chiara, da Madonna in Campagna, frazione di Gallarate, e così gli sistema anche l’equilibrio del cuore. Lei, di ciclismo, sa niente. Lui, di musica, meno. Dal 2005 Chiara è sua moglie: diplomata all’Accademia, pianoforte, suona Brahms e Schumann, insegna diesis e bemolle. Cadel si rivela al Giro 2002. In 24 ore passa dal niente al tutto e dal tutto al niente. Quintultima tappa, a Corvara, va in rosa. Quartultima tappa, sul Passo Coe, becca una cotta memorabile: “Mi scordo di mangiare, entro in crisi, non vedo più l’asfalto, pedalo nel vuoto”. Un quarto d’ora. A ripensarci adesso, trova il lato positivo: “Fui bravissimo. Passai dalle gare di un’ora a una corsa di tre settimane. E resistetti due settimane e mezzo. Fin troppo”. Cadel cresce, non in altezza, ma in forza e umanità. Lotta per un mondo pacifico (“Sono per la liberazione del Tibet”) e per un ciclismo pulito (“Si può, si deve”). Chiede aiuto al Centro Mapei. “Aldo Sassi si fida di me perché lavoro. Io mi fido di lui perché sa tutto su allenamento, biomeccanica, posizione e analisi”. [...] Ottavo al Tour 2005, 4˚ al Tour 2006, 2˚ al Tour 2007 per 23”, 2˚ al Tour 2008 per 58”. Tanti secondi posti, in fortuni e sfortune [...] alla Vuelta 2009, un minuto e mezzo a litigare con una gomma forata e un cambio ruote partigiano, stavolta è terzo. Ma non s’intristisce. “Tengo duro, guardo avanti”. [...]» (Marco Pastonesi, “La Gazzetta dello Sport” 28/9/2009) • «Guardare i coniglietti dalla veranda di mamma Helen, dove passa il fiume Yarra, sulle colline di Melbourne: è questo, che lo rilassa. Ma qui, dall’altra parte del mondo, niente coniglietti per lui: solo lepri grandi e bipedi, di celebre “pedigree”, che lo attaccano da tutte le parti. Lui però si difende bene, anzi benissimo […] Ancora tre anni fa sembrava incollato alle mountain-bike, lontanissimo dalle corse su strada; il ragazzo che quasi nessuno conosceva in Europa. […] Vederlo la sera a cena, con i compagni della Mapei, è uno spasso. È lui che riempie i piatti di buonumore, con il suo italiano degli antipodi: “Per favore mi pasi antaipastow?”. Ed è anche lui, che cura un ordine di stampo anglosassone: ogni tanto si alza e porta i piatti già usati su un tavolo accanto. Per il resto guarda, ascolta e sorride. Gli hanno dato come compagno di stanza Dario David Cioni, che parla bene l’inglese e viene anche lui dalla mountain-bike. A tavola, invece, per farlo ambientare meglio, fanno sedere Evans vicino a Fornaciari il versiliano, il più espansivo di tutti, il caciarone che grida sempre “viva la Toscana”. Ma niente problemi, Cadel sembra già perfettamente ambientato: “Grazie, grazie a tutti” dice commosso salendo sull’autobus dopo l’ultima vittoria. È solo da gennaio che corre con la Mapei. E anche il suo inizio fu segnato dal buonumore, seppure un po’ agrodolce: firmato il contratto, spedirono a Evans una bicicletta in aereo, da Milano a Melbourne, ma questa si perse per strada. Così il biondino fece la sua prima corsa Mapei con un’altra bici prestata, “che non aveva mai corso: ha cominciato con me”. Prima di allora, c’erano stati i lunghi anni di mountain-bike, dall’altra parte della terra. Katherine, così si chiama la cittadina dove è nato, in quel pianeta sterminato d’Australia che si chiama Nuovi Territori. Poi è cresciuto a Melbourne, nella casa di mamma Helen. A 14 anni, eccolo sulla prima mountain bike: “Mi sembrava divertente, e poi intorno a casa c’erano tante colline”. A 15, entra nel Club Flat Tyre Fliers (letteralmente: “Le gomme sgonfie che volano”), e conosce l’allenatore Grundy, mago australiano della specialità. A 18 anni, finito il liceo, è all’Istituto australiano dello sport: “Ma ero indeciso: volevo fare il cameraman, o il ciclista di mountain-bike”. Alla fine, non ha fatto né l’una né l’altra cosa: “Alle corse su strada sono approdato pian piano. Mi piacciono perché sono meno stressanti. E poi cambiano la concentrazione, la resistenza”. Negli anni di mezzo, ci sono qualche brutta caduta, varie vittorie mondiali. E una fidanzata, Annie, ciclista pure lei e canadese che parla francese: “Pensare - dice il biondino - che una volta io odiavo il francese”» (Luigi Offeddu, “Corriere della Sera” 27/5/2002).