Varie, 11 giugno 2002
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Keane Roy
• Cork (Irlanda) 10 agosto 1971. Ex calciatore. Col Manchester United ha vinto la Champions League 1998/1999 e svariati campionati inglesi. «Detto Keano e the king. Per un mediano tosto e schivo come Oriali, Ligabue ha scritto una canzone. Per un mediano fuori dall’’ordinario come Keane, a Dublino hanno messo in scena un intero musical: Me, Keane. É un pastiche romano stile Il Gladiatore (l’ur-testo della narrazione calcistica contemporanea) che narra il clamoroso abbandono del ritiro pre-mondiale da parte dell’allora capitano dell’Irlanda. Il torneo era quello del 2002. Dopo 17 ore di volo, sbarcato in mezzo a un’isola in mezzo al niente, Keane litigò di brutto con l’allenatore McCarthy e, nonostante l’intercessione del primo ministro irlandese, se ne tornò a casa. Infatti, il geniale sottotitolo dell’operina che mette in scena metaforicamente lo scontro tra un generale romano e il suo più valoroso soldato alla vigilia di una grande battaglia è Venni. Vidi. Tornai a casa. [...] Nato a Cork, famiglia operaia, lezioni di pugilato a 10 anni, da bambino scrisse a tutte le squadre inglesi per un provino e nessuno rispose. Tesserato coi Cobh Ramblers, ebbe infine un contratto col Nottingham Forest di Brian Clough. Ebbe i complimenti di Maradona, il corteggiamento dei grandi club europei, finchè Alex Ferguson lo portò al Manchester nel 1993. Seguendo il luminoso esempio di Paul Ince e dell’unico calciatore che veramente ha rispettato - Eric Cantona, ovvio - finì nel centro esatto nel campo e da lì non si è mosso più. Oggi basta guardarlo in faccia: Keane è quel che è rimasto del calcio inglese e della sua etica, trasformati dalla Premiership League e dalla tv via satellite in uno spettacolino internazionale. Assomiglia, in verità, più a un giocatore di rugby. Uomo di spogliatoio, uomo di poche parole, capitano ferocissimo (splendida, nella mezza rissa nel tunnel prima dell’ultimo Manchester-Arsenal, la sua espressione di ghiaccio). Crede fermamente nel gioco di squadra e perciò odia senza mezzi termini tutte i fighetti e i narcisi che popolano oggi il calcio, anche se giocano nella sua stessa squadra: la “banda del Rolex”, battezzò i Beckham e i fratelli Neville che fuoreggiavano nelle discoteche di Manchester. [...] Non è uno stinco di santo. Mai stato. Calci sugli stinchi, tanti. La sua biografia da calciatore giovane è piena di bevute pantagrueliche, risse al pub e notti in guardina. Ma la cosa più sconvolgente resta la rivelazione contenuta nella biografia scritta da Eamon Dunphy sulla freddissima vendetta consumata ai danni del norvegese del Leeds Haaland, che nel 1997 in uno scontro di gioco gli scassò il crociato. Non fu tanto per il fallo, ma per l’accusa ricevuta di “fare la scena”. Nel 2002, i due si incontrarono nuovamente sul campo: Keane stese violentemente di proposito Haaland. Subì multe e squalifiche, ma chiuse così i conti della sua gioventù bruciata per entrare nel novero dei ”calciatori di esperienza”. [...]» (Alberto Piccinini, “il manifesto” 9/2/2005). «L’irlandese più importante della storia del calcio inglese dopo George Best, nordirlandese […] È il punto di forza del centrocampo del Manchester United e lo sarebbe di qualunque altra squadra. Non fa niente per nascondere le sue qualità, anche se forse considera qualità ciò che mezza nazione, alla luce degli ultimi suoi comportamenti, ha già giudicato in modo diverso. Ha carisma, sa parlare, in campo non lo smuovi nemmeno con le cannonate e se negli ultimi anni il Manchester United ha vinto tutto lo si deve anche a lui. Dice il suo allenatore Sir Alex Ferguson: “Se dovessi mettere in campo un Manchester United in scontri dove le squadre si fronteggiano uno contro uno, manderei in campo Roy e sono sicuro che vinceremmo qualunque competizione, calcio, ippica, canottaggio. Roy ha qualcosa di particolare”. […] Lo hanno paragonato, per i suoi ripetuti attacchi alla moralità del sistema, ai Sex Pistols. Anarchy in the U.K., si è letto sui tabloid, con tanto di punto esclamativo. […] La frase simbolo della sua idea di calcio, che non è solo uno sport, una professione, ma soprattutto un modo di vivere: “If you fail to prepare, prepare to fail». Se sbagli la preparazione, preparati a fallire”» (Enrico Sisti, “la Repubblica” 16/10/2002). Nel 2002 fu cacciato dal ritiro mondiale della nazionale dopo ripetuti litigi con allenatore e compagni di squadra. «Quando da bambino guidava il Rockmount FC, squadra della periferia nord di Cork, il suo allenatore lo chiamava “il boiler”. Perché sapeva come far salire la temperatura della propria squadra. Al caldo di Saipan, isole Marianne, il boiler si è surriscaldato, ha cominciato a fumare, ed è esploso. Capitano, simbolo e condottiero della nazionale dell’Eire e del Manchester United, è stato cacciato dal ritiro. Il suo Mondiale è finito prima ancora di cominciare, con ignominia. Ha criticato aspramente le condizioni di viaggio dell’Eire, 17 ore di volo, e la scelta della località per i sei giorni di acclimatazione in Asia. “Il campo di allenamento sembra un parcheggio. È ridicolo, ma noi siamo l’Irlanda, siamo abituati a farci ridere dietro. L’albergo va bene per una vacanza, peccato che siamo qui per lavorare”. Nel pomeriggio litiga con il preparatore dei portieri, Packie Bonner, perché i tre numeri uno dell’Eire sono esentati dalla partitella. “Sono stanchi? E cosa siamo venuti qui a fare?”. Keane torna in camera, da solo, visto che è l’unico che non la divide con nessuno, chiama a casa la moglie e i quattro figli, torna nella hall e annuncia che sta per fare le valigie. Il tecnico Mick McCarthy prova a convincerlo, poi chiama Colin Healy, centrocampista del Celtic, e gli dice di partire per l’Asia. La federcalcio irlandese manda un fax alla Fifa con la sostituzione. La notte, e una lunga chiacchierata con il suo guru Alex Ferguson, portano consiglio: Keane fa retromarcia. Nuova telefonata a Healy, “non ci servi più, ma vieni lo stesso, scusa tanto” e nuovo fax alla Fifa. Ma le discussioni proseguono. McCarthy perde la pazienza e annuncia che Keane è stato escluso. È uno che non si è mai tirato indietro. Che ci fosse da entrare duro sulle caviglie di un avversario o da sferzare compagni, arbitri, nemici e tifosi, si è sempre fatto trovare pronto. Del resto, quando da ragazzo difendeva i colori della palestra Dillon nella Irish Novice Boxing League, era imbattuto: quattro match e quattro ko. Nove invece i cartellini rossi in carriera, tre le risse di cui ha dovuto rendere conto alla polizia, due fuori da una discoteca, una con un vicino di casa. Fino ai 18 anni giocava da semiprofessionista, nella natia Cork, con i Cobh Ramblers. Scoperto dagli scout di Brian Clough, nel 1990 fu acquistato per 10.000 sterline dal Nottingham Forest. Dopo due finali di coppa perse, il Nottingham nel 1993 retrocede, ma per Keane c’è la fila. La spunta Alex Ferguson, che versa nelle casse del club 3.75 milioni di sterline, circa 10 miliardi di vecchie lire, record del mercato inglese. Comincia allora il sodalizio tra l’irlandese Keane e lo scozzese Ferguson. Sei titoli in nove campionati, oltre alla Champions League 1999. Un legame di ferro che sul “Guardian” hanno paragonato ad un’associazione mafiosa: lealtà e dedizione totale da una parte, protezione e appoggio incondizionato dall’altra, anche quando Keane sembra indifendibile. Nella primavera del 2000 diventa il giocatore più pagato della Premiership, 52.000 sterline a settimana, il doppio di Beckham. A fine stagione viene scelto dai colleghi come giocatore dell’anno, e in autunno esterna prendendosela contro i tifosi del Manchester: “Vengono allo stadio solo per mangiare i panini con i gamberetti”. Nell’estate 2001 arriva Juan Sebastian Veron, con uno stipendio da 80.000 sterline a settimana, il capitano non gradisce e strappa un ritocco del contratto. Poche settimane fa l’ultima esternazione: il Manchester sta per chiudere la stagione a mani vuote e alla tv del Manchester il capitano definisce i compagni dei “codardi”. A Saipan, l’ultima picconata. Una di troppo» (Filippo Maria Ricci, “Corriere della Sera” 24/5/2002).