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 2002  giugno 11 Martedì calendario

Malerba Luigi

• (Luigi Bonardi) Berceto (Parma) 11 novembre 1927, Roma 8 maggio 2008. Scrittore. «’Fellini mi disse un giorno che leggeva con divertimento il mio primo romanzo e penso che se ne sia ricordato quattro anni dopo quando girava la scena famosa della Dolce vita”. Luigi Malerba parla delle immagini più celebri del cinema italiano, quelli della Ekberg che si immerge nella Fontana di Trevi. Quelle sequenze - sostiene lo scrittore - furono anticipate ne Le lettere di Ottavia , il suo romanzo d’esordio uscito a puntate tra febbraio e novembre ”56 sulla rivista ”Cinema nuovo”. [...] La storia di Malerba precede dunque La dolce vita. Una ragazza arrivata a Roma dalla provincia viene coinvolta, per puro caso, nella lavorazione di un film intitolato Dolce amore. Un produttore se la spupazza per la città sulla sua macchina americana, se la porta a mangiare in un bel ristorante, il giorno dopo la trascina con sé su una spiaggia per farle delle fotografie in pose discinte, poi sulla terrazza della Casina Valadier. La ragazza si lascia prendere dall’entusiasmo, comincia a costruire castelli in aria, si immagina subito grande attrice, si lascia sedurre da loschi individui, dal sogno della ricchezza facile e della fama. A un certo punto, decide di tingersi i capelli di rosso per seguire la moda, e nel desiderio ingenuo di eccitare i rotocalchi, un pomeriggio compra un paio di slip ”pantera” e va a immergersi nella Fontana di Trevi. La gente si ammucchia a osservarla e i fotografi si affollano, finché intervengono due carabinieri a portarla via. Quel tuffo nella Fontana di Trevi, dunque, non dovette sfuggire a Fellini, secondo quando afferma Malerba. Le lettere di Ottavia è un romanzo epistolare che anticipa le atmosfere, gli ambienti e i personaggi della Dolce vita, ma con toni decisamente più comici. La giovane protagonista, giunta a Roma per sbrigare alcune pratiche amministrative, vi si trattiene attratta dal bel mondo della celluloide e da lì scrive delle lettere al fidanzato Filippo per raccontargli le sue impreviste giornate, dalle fantasie di grandezza fino al triste ritorno a casa spennata di tutti i quattrini e in attesa di un figlio. Un romanzo divertente, a tratti esilarante, che solo un autore che conosceva bene gli ambienti della Hollywood capitolina, una macchina di sogni fatta di pescecani e di illusi o illuse, avrebbe potuto scrivere. Una parodia dei ”cinematografari” d’assalto anni Cinquanta, dell’infantilismo di chi credeva che una comparsata in un film promettesse un futuro da star, delle false avanguardie e dei gruppi dilettanteschi di recitazione che si chiamavano ”work shop”, del mito hollywoodiano vissuto in salsa romanesca. Una parodia in presa diretta. lo stesso Malerba, nel breve capitolo iniziale, a raccontare le sue prime esperienze come collaboratore di Zavattini, Lattuada e Flaiano, e come sceneggiatore alla Vasca Navale dei produttori Ponti-De Laurentiis, ”luogo felice di megalomanie e fantasiose imprese”. Fu lì che nacque in lui l’idea di ”abbozzare il ritratto di una delle tante ragazze di provincia arrivate a Roma e decise a tutto pur di mettere piede nel favoloso ”mondo della celluloide’, come si diceva allora”. Da qui le lettere, ”entusiaste e patetiche”, di Ottavia. Che uscirono anonime. Ma nell’ambiente si conosceva bene il nome dell’autore. E anche Fellini sapeva. Sul suo sospetto, Malerba non volle mai indagare con l’interessato [...]» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 16/1/2005). «’Per gli appunti, uso matite triangolari (quelle cilindriche rotolano giù dal tavolo) e il retro dei cartoncini di invito. Ne ricevo moltissimi: se sono stampati da due parti li elimino, se no li riciclo” […] Tra i suoi titoli, tradotti in molte lingue: Il serpente, Il pataffio, Il fuoco greco, Le maschere, Itaca per sempre, La superficie di Eliane . Ha scritto per il cinema e la televisione, ha pubblicato libri per ragazzi, ha vinto il premio Mondello, il Grinzane Cavour, il Viareggio, il Médicis. L’ultimo romanzo è Il circolo di Granada . […] A Roma e in campagna, vicino a Orvieto, ho due studi grandissimi. Non mi spiace essere disturbato, se qualcuno entra. Sedie comode e tavoli disordinati, con le cartelle dei lavori in corso […] Da sei anni uso il computer. Prima, scrivevo a macchina: fogli bianchi per la prima stesura, strisce di carta azzurrina per i pezzi aggiunti e incollati […] Non comincio dall’inizio: il cinema mi ha insegnato a lavorare sul montaggio […] Stampo, rileggo, molto spesso mi arrabbio e cancello a penna […] Fumo la pipa, nelle pause. Mentre si scrive è scomoda» (Mariarosa Mancuso, ”Corriere della Sera” 28/5/2002).