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 2002  giugno 11 Martedì calendario

Zulle Alex

• ZÜLLE Alex Will (Svizzera) 5 luglio 1968. Ex ciclista. Vincitore di due tappe e del prologo al Giro d’Italia del 1998 (quello vinto da Marco Pantani) indossò per 12 giorni la maglia rosa ma si ritirò prima della fine della corsa. Un giorno in maglia gialla al Tour de France del 1992, secondo in quello del 1995 (a 4’35’’ da Indurain), il prologo e tre giorni in maglia gialla nel 1996, secondo nel 1999 staccato (a 7’37” da Armstrong). «Un [...] pezzo del ciclismo degli anni ”90. E di quel ciclismo l’elvetico riassume i tratti più significativi, nel bene e nel male. Nel bene perché rivaleggiò con i campioni più gagliardi della sua epoca. Con Rominger, Indurain, Pantani e Bugno: spesso e volentieri diede spettacolo quando pedalava contro il tempo (la sua specialità), meno volentieri pedalò in salita, dove si difendeva grazie a una ferrea determinazione. Fu protagonista nel male perché, come molti colleghi dell’epoca, non disdegnò di abbeverarsi al diabolico calice del doping. Erano i tempi dell’Epo selvaggia e Zulle si adeguò alla legge della foresta. ”Lo prendevo alla mattina e alla sera - rivelò in un’intervista in tempi non sospetti - non avevo più bisogno del dottore: mi facevo punture da tutte le parti”. Ma Alex non era un tipo da nulla: fu tanto celere nell’imparare ad avvantaggiarsi delle pratiche illecite quanto onesto nel rivelarle, pur senza essere stato pizzicato agli esami anti-doping. La sua confessione, la prima di tante altre [...], fece cadere il velo da un mondo che i più credevano lindo di qualsiasi peccato. ”Ho sbagliato - ammise Zulle - mi sono dopato, ma ora voglio ricominciare a pedalare in modo pulito, perché quella robaccia fa male”. Ricominciò, ma non era quello di prima. O meglio, il carattere era sempre lo stesso: schivo, misurato e ironico. Una volta gli chiesero su che terreno avrebbe potuto staccare il grande Miguel Indurain e lui sorrise: ”Forse a bere Coca-Cola”. Un’altra lo invitarono a fermare Tony Rominger, che lo bastonò più volte sulle strade della Vuelta di Spagna, e lui rispose: ”Datemi un carro armato e non avrà nessun problema”. Dei gloriosi tempi dell’Epo, però, gli rimase soltanto la prontezza di spirito e l’intelligenza, che lo portavano a dialogare con colleghi e giornalisti in un simpatico esperanto. Le gambe, quelle che lo fecero arrivare secondo al Tour de France, giravano però a singhiozzo, anziché come un orologio svizzero. Negli ultimi anni faceva quasi tenerezza: sempre in fondo al plotone a chiacchierare tranquillamente con i colleghi. Non appena la strada saliva, lui scivolava nel gruppetto dei velocisti, che sudavano sette camicie per arrivare al traguardo entro il tempo massimo. Altra musica rispetto a quando macinava rapportoni mozzafiato e vinceva a mani basse nonostante la forte miopia, che in discesa gli causò parecchi ruzzoloni. L’impresa della vita la firmò in un tappone alpino del Giro di Francia, nel 1995: scattò poco dopo la partenza, staccò uno dopo l’altro i compagni di fuga e arrivò solo sul traguardo di La Plagne. Sfiorò la maglia gialla, che quel giorno finì sulle spalle di un certo Miguel Indurain. Tre anni dopo, al Giro d’Italia, fece tremare Marco Pantani staccandolo sull’erta di Lago Laceno e travolgendolo nella cronometro di Trieste. Poi, però, beccò mezzora sul Crocedomini e diede addio ai sogni in rosa. Zulle brillò fino al Tour del 1999 - pochi mesi dopo la sua confessione shock sul doping - quando tenne testa a Lance Armstrong sul Sestriere. Fu l’inizio del regno del cannibale texano e il canto del cigno per lo svizzero, che precipitò in un’irreversibile parabola discendente» (Cheo Condina, ”il manifesto” 22/10/2004).