Ilvo Diamanti, ìla Repubblicaî 9/5/2002;, 9 maggio 2002
Ilvo Diamanti parla di quattro paradossi. «Il primo riguarda l’aporia tra la retorica posta sulla globalizzazione: le merci, le imprese, i capitali che viaggiano senza confini, oltre i confini; e la richiesta di marcare e controllare di nuovo i confini quando si parla di flussi migratori: persone, lavoro
Ilvo Diamanti parla di quattro paradossi. «Il primo riguarda l’aporia tra la retorica posta sulla globalizzazione: le merci, le imprese, i capitali che viaggiano senza confini, oltre i confini; e la richiesta di marcare e controllare di nuovo i confini quando si parla di flussi migratori: persone, lavoro. Il secondo riguarda il contrasto fra l’immagine di un paese saturo, non più in grado di accogliere gli altri. E una società vecchia, che degli altri ha bisogno: per ragioni di ”assistenza”; di sostegno alla produzione. O, semplicemente, per svecchiare il suo impianto demografico. E, perché no?, la sua cultura. Noi Paese di emigranti. Di viaggiatori e di commercianti. Quattro milioni di italiani e 70 milioni di oriundi sparsi nel mondo. Potremmo ridurci a fortezza chiusa? Il terzo paradosso, riguarda un paese che dichiara la guerra ai clandestini, ma impedisce alle imprese di ”regolare” la presenza di coloro che da tempo lavorano presso di loro; alle famiglie di ”regolare” le persone che assistono i loro anziani e i loro malati; agli stranieri che da tempo lavorano nelle aziende e nelle famiglie di ”regolare” la propria esistenza, la propria posizione. Il quarto paradosso evoca la presunta guerra al sommerso, all’informale, alla ”clandestinità”, riguardo agli stranieri. Quando gli stessi tratti costituiscono, riflettono, in Italia, una costante dello sviluppo, dello stesso rapporto fra cittadini e Stato, basta pensare al fisco, al tessuto produttivo».