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 2002  giugno 17 Lunedì calendario

BERTOLASO

BERTOLASO Guido Roma 20 marzo 1950. Politico. Medico specializzato in malattie tropicali, ha lavorato in Thailandia e Cambogia. Nominato nel 1990 capo del dipartimento affari sociali, tre anni dopo ricopre la carica di vicedirettore dell’Unicef di New York. Nel 1996 è commissario di governo per l’apertura dell’ospedale Spallanzani. Dopo aver organizzato il Giubileo del 2000, nel 2001 è nominato capo del dipartimento della protezione civile. Dal 2008 è sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l’emergenza rifiuti in Campania • « l’uomo forse più potente dopo Berlusconi e Gianni Letta. [...]» (Alessandra Longo, ”la Repubblica” 21/1/2010) • «’Sono un tecnico, non mi occupo di politica. Non ho tessere. Dicono che sono amico di Andreotti e Rutelli. vero. Lavoro per Berlusconi, cerco di tenere insieme tutte le amministrazioni che funzionano bene, per poter garantire a tutti gli italiani prevenzione e assistenza in caso di necessità. La mia prima esperienza di protezione civile risale a molti anni fa: ero un ragazzino in collegio, a Farfa, quando organizzai le squadre di volontari per spegnere l’incendio sulla collina. E lì capii subito che in questo lavoro ci vogliono tre cose: un progetto, le persone giuste, una motivazione forte. Dall’incendio di Farfa al vertice di Pratica di Mare, dall’ospedale in Thailandia al Grande Giubileo del 2000... ho sempre lavorato così. Quando non ci sono riuscito, quando non era possibile, davo le dimissioni e mi cercavo un’altra sfida, un’altra battaglia da combattere”. Nel suo ufficio, proprio sopra al divano ministeriale che distingue i funzionari pubblici che contano da quelli che hanno soltanto le poltrone, c’è uno strano quadro. Contiene, sottovetro, i brandelli di una bandiera tricolore. ” il mio portafortuna. Era con me a Tor Vergata, dove ho vissuto due mesi per organizzare l’incontro dei giovani con il Santo Padre, era con me a Pratica di Mare, nella settimana di preparativi prima dell’incontro fra Bush e Putin. Ma la sua è una storia lunga... ”. Oggi dirige 350 persone, che a loro volta debbono coordinare tutti i corpi dello Stato, militari e civili, e un esercito invisibile di un milione e trecentomila volontari. Oltre agli interventi per fronteggiare le emergenze sismiche e meteorologiche, partono dall’ufficio di via Ulpiano anche le istruzioni per realizzare i grandi eventi, dai vertici internazionali alla santificazione di Padre Pio. Il suo sogno di ragazzo si è realizzato? ”Sì... Ero uno studente un po’ somaro. Andavo benissimo in geografia, sognavo di viaggiare per il mondo, di esplorare terre sconosciute. Per fortuna, il mestiere di mio padre Giorgio mi portò a girare, da piccolo, tutta Italia: da Brindisi a Cagliari, da Roma a Grosseto. Lui, che ora è generale di squadra, era ufficiale dell’aeronautica, pensi che fu lui il primo italiano a collaudare l’F104, nel 1963. Quella mattina, per me, è indimenticabile. Avevo tredici anni, con mia madre Giovanna e mio fratello andammo all’aeroporto militare di Grosseto. E papà ci passò sopra con quel bestione, che ululava... Perché quell’aereo fa davvero un rumore unico, tutto suo, impressionante. Rivedere l’F104, l’altra settimana, a Pratica di Mare, mi ha messo i brividi”. Il giovane che spegneva gli incendi sceglie di laurearsi in medicina, una scelta militante: ”Volevo curare gli ultimi del mondo. Il professore con cui ho discusso la tesi, Giunchi, mi disse: lei è un idealista, avrà tante delusioni... ”. Per curare l’Africa, bisogna prima studiare. ”Il miglior master in malattie tropicali era quello di Liverpool, il porto da cui passavano gli schiavi africani della Costa d’Oro destinati agli Usa. Una scuola nata alla fine del Settecento, figlia della paura di infettarsi. Per me, una scuola di vita durissima. Partii, subito dopo la specializzazione, da solo. Volontario in Algeria, Tunisia, Alto Volta, ora Burkina Faso, Mali... Tre anni: 1977, ”78, ”79. Nel gennaio del 1980 ricevetti una telefonata dalla Farnesina: ”Lei è un esperto di malattie tropicali? Avremmo un problema, si tratterebbe di gestire un ospedale italiano in Thailandia. Lei dovrebbe tenere la malaria lontana dall’ospedale’. L’ospedale, in realtà, non esisteva. E l’ambasciatore, quando arrivai, mi guardò imbarazzato: ”Ma lei è un ragazzo... ”, disse. Avevo trent’anni, presi una campagnola Fiat e una mappa, proprio come nei film di guerra, e partii verso il confine con la Cambogia. Il medico thailandese che mi accompagnò nell’ultimo tratto mi indicò una risaia ridendo: quello è il tuo ospedale”. In quegli anni, milioni di cambogiani in fuga si avvicinavano alla frontiera con la Thailandia e le organizzazioni internazionali tentavano di curarli. Mostra la foto del centro medico di Ta Phraya con orgoglio: ”Quattro padiglioni... Sono costati pochissimo. Li ho perfino disegnati io, li abbiamo costruiti in fretta, con lo spirito e le capacità italiane. A fine lavoro, innalzai la nostra bandiera. La squadra dei primari che arrivò dall’Italia per gestirlo, fece fagotto subito: bastò una notte in sacco a pelo, con le zanzare grandi come un elicottero. Rimasero i migliori, i più giovani. E il cuoco, fantastico. Dopo due anni, quando lasciai la Thailandia, portai via il mio tricolore... era a brandelli, per errore era finito in una discarica, lo recuperai con le mie mani e ora mi segue ovunque, da vent’anni”. Dal 1982 al 1989 dirige la cooperazione sanitaria italiana nel mondo: vaccinare i bambini, curare i malati, coordinare gli interventi umanitari, dalla Cina all’Africa, in Sudamerica... ”Quando mi chiesero di comprare i farmaci da tizio, invece di pagarli a prezzo di costo e quando volevano impormi di spendere per la costruzione di case invece che per le vaccinazioni, me ne andai. Con una moglie e due bambine piccole da mantenere... Mi richiamò Andreotti e mi affidò la creazione del dipartimento Affari Sociali, con la Rosa Iervolino...”. Due anni all’Unicef, come vice di Jim Grant a New York, poi di nuovo a Roma come vice di Barberi alla protezione civile, ”ma non siamo andati mai d’accordo. Mi dimisi, tornai in parcheggio. Lavorai con Guzzanti per riaprire lo Spallanzani a Roma e con Andreatta per scrivere la legge sul servizio civile. Ero in Marocco, alla fine del 1997, quando mi chiamò Rutelli... Mi chiedeva di lavorare con lui per il Giubileo. Accettai subito, è stata un’impresa fantastica. finita nella primavera del 2001. Ma io avevo preparato - per conto di Rutelli candidato - un piano per il G8 di Genova, che forse avremmo spostato a Roma. Quando vinse Berlusconi, prima del vertice, in giugno scrissi due righe a Gianni Letta: avete scelto le persone e le strategie sbagliate, volevo solo avvertirvi”. Troppo tardi per Genova. Ma non per Letta. ”Il 7 settembre mi chiama e mi offre la protezione civile. Il mio sogno... Mi consultai con Rutelli prima di accettare, lui mi incoraggiò: continua a lavorare bene per l’Italia. Poi chiesi carta bianca a Berlusconi: voglio scegliere le persone senza giudicare la loro tessera politica. Così è stato. Abbiamo rivoltato questi uffici. Stiamo mettendo sotto controllo la prevenzione dei terremoti e delle eruzioni, siamo indietro con le alluvioni perché siamo indietro con la meteorologia. Ma ci stiamo adeguando: avremo presto delle previsioni uniche al mondo”. Sulla scrivania c’è la foto con dedica di Albert Sabin, ”era lui a guidarmi e a consigliarmi per le vaccinazioni... Sono stato a pregare sulla sua tomba, ad Arlington. proprio accanto a quella di Kennedy, dove ho riletto il motto caro a mio padre: non chiederti cosa fa il tuo Paese per te, ma cosa fai tu per il tuo Paese”. Il film dell’Indiana Jones della protezione civile ha anche un epilogo cinematografico: ”La fine della storia... è già scritta. Parto in barca a vela da Anzio, saluto tutti e torno in Africa a fare ancora il medico del Terzo Mondo, nel Sudan Meridionale. Appena mi fanno arrabbiare...”» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 3/6/2002).