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 2002  giugno 17 Lunedì calendario

Zanchi Marco

• San Giovanni Bianco (Bergamo) 15 aprile 1977. Calciatore. Dal 2008/2009 al Vicenza (B). Ha giocato in A con Atalanta, Udinese, Juventus, Vicenza, Verona, Bologna, Messina. Campione d’Europa under 21 con la nazionale nel 2000 • «[...] è uno di quei giocatori a cui tutti, anche gli ultrà più beceri della curva avversaria, vogliono bene. Ex talentino dell’Under 21 di Tardelli, ex cartellino della Juventus (“Ero troppo giovane, non avevo maturità né personalità. Morale: giocai pochissimo”), pupillo di Carletto Mazzone al Bologna quando, all’improvviso, il mondo gli crolla addosso. “Cominciò con un’emicrania feroce: le forze mi abbandonarono, mi passava di fianco mio figlio Nicholas e vedevo soltanto una scia luminosa”. La macchia scura a forma di ferro di cavallo all’attaccatura della nuca evidenziata dalla Tac, lo mette di fronte alla scelta: operarsi subito o rischiare grosso. Marco entra in sala operatoria l’11 aprile 2003, saluta Nicholas come fosse l’ultima volta e si risveglia due giorni dopo chiedendo cheeseburger e patatine alla moglie. Delirante, ma vivo. Torna in campo sei mesi dopo, accolto dal ghigno bonario di Mazzone: “Anvedi chi c’è... Ragazzi, facciamo un bell’applauso al nostro Robocop!”. [...]» (Gaia Piccardi, “Corriere della Sera” 22/9/2005) • «Era un martedì di marzo, uno di quelli senza segni particolari, nè pioggia né sole, un allenamento come tanti altri, la nuvoletta di fiato che si gonfia nell’aria ancora fredda. Marco Zanchi, 26 anni, ex talentino dell’Under 21, difensore di proprietà della Juventus in prestito al Bologna, non lo sapeva ancora, ma sarebbe stato un martedì che non avrebbe dimenticato. Cominciò con un’emicrania feroce. Giramenti di testa, nausea durante la notte. “Starò covando l’influenza”. Errore. Stava covando un angioma al cervello. “Per tre o quattro giorni di seguito non mi ressi in piedi. Restavo sdraiato e intanto mi chiedevo: ma cosa cavolo mi sta succedendo? Mi passava di fianco Nicholas, mio figlio, e vedevo solo una scia luminosa. Come i fari delle macchine in autostrada di notte”. Gli diagnosticarono una labirintite, dopo una settimana stava di nuovo bene. “Dopo un po’ feci una Tac alla testa, giusto per mettermi il cuore in pace”. L’angioma era già in pressing: “La risonanza evidenziò una macchia scura a forma di ferro di cavallo all’attaccatura della nuca”. La scelta: operarsi subito o rischiare di avere disturbi per sempre. E, nel secondo caso, addio calcio. Marco non ha dubbi. Lo ricoverano all’Ospedale di Bologna, gli fanno un’angiografia, l’11 aprile entra in sala operatoria. Grado di rischio: alto. “Sono sempre rimasto tranquillo, non ho mai avuto pensieri brutti”. L’uomo che visse due volte è tornato in campo il 2 ottobre 2003 in Coppa Italia. [...] Cinque mesi di stop assoluto, per permettere alle ossa del cranio di calcificarsi. Il ricordo del primo allenamento della nuova vita gli dà ancora i brividi. “Entro in campo e Mazzone, un grande, mi prende di sorpresa: ragazzi, un bell’applauso per il nostro Robocop”. Pelle d’oca. “Che bella cosa essere tornato. È fantastico riassaporare tutto: il profumo dell’erba, l’odore dello spogliatoio, la tensione della domenica, quando pranzi con le farfalle nello stomaco prima del match. In questa vicenda non mi sono mai sentito solo. L’11 aprile sono stato operato, il 15 era il mio compleanno e tutta la squadra è venuta in ospedale con la torta e i regali”. A quel punto, la grande paura era già passata. Il segnale era stato il giorno del risveglio dall’anestesia: “Mi ha detto mia moglie che appena ho aperto gli occhi le ho chiesto un cheeseburger con le patatine!”. [...]. “Non dico che ho messo una pietra sopra alla Juve, ma quasi. Però tornare a Torino e dimostrare quanto valgo mi piacerebbe eccome. Con la maglia bianconera ho giocato troppo presto: ero giovane, non avevo la personalità e la maturità che ho adesso”. Oggi, a poterlo ripetere, sarebbe diverso pure l’incontro con Franco Baresi, l’idolo di una vita. “Io debuttai in campionato nel 1995, contro il mito Baresi ho fatto in tempo a giocare. Il giorno in cui affrontai lui e il Milan non mi sembrò vero di trovarmi lì, in piedi, di fronte al monumento. Gli passai accanto a testa bassa, paralizzato dall’emozione e dalla timidezza, senza salutare, senza dire niente. Madonna, chissà cosa avrà pensato Franco...”» (Gaia Piccardi, “Corriere della Sera” 24/10/2003).