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 2002  giugno 17 Lunedì calendario

Zanuso Marco

• Milano 14 maggio 1916, Milano 11 luglio 2001. Designer • «Apparteneva a quella straordinaria generazione di architetti italiani che non ha avuto maestri perché stava inventando un nuovo magistero: il design industriale contemporaneo. […] Una delle grandi figure storiche di una disciplina che ha letteralmente cambiato il nostro modo di vivere, la nostra percezione degli oggetti d’uso quotidiano. Ma l’oggetto, per lui, era solo una parte della progettualità architettonica, che per lui andava sempre vista ”in toto”, escludendo ogni steccato specialistico. ”La divisione tra urbanisti, architetti e designer è un’abitudine retorica o, peggio, una difesa corporativa, che ha poco senso - spiegava in occasione della mostra che la Triennale aveva dedicato, nel ”99, ai suoi sessant’anni di attività -. Il problema sostanziale è quello del progetto. Tutto quello che riguarda il mondo che ci circonda è progetto”.[…] La sua capacità di passare dal ”micro” al ”macro” fu intuita subito da Adriano Olivetti, che diede al giovanissimo architetto, poco più che ventenne, la prima grande occasione. Fu Ernesto Rogers, a portargli in studio Olivetti: ”Avevo lì due seggioline impagliate, lui ci si è seduto sopra, le ha fatte girare, s’è alzato e m’ha detto: ”Voglio darle da fare il mio stabilimento in Argentina’”. La carriera s’è sviluppata così a tutto campo, la fabbrica, la casa, il teatro, l’intervento urbanistico di pari passo con l’invenzione di oggetti minuti (anche minutissimi, anche una bilancia che servisse alla massaia per pesare la farina e lo zucchero per la torta, con un coperchio che, rivoltato, consentisse di pesare anche i liquidi, ed è la famosa Terrallion) dove era evidentissimo l’approccio tecnologico, il fascino esercitato sul designer dalla tecnologia, dalle possibilità formali della tecnologia. Anche se l’approdo formale era, per lui, quasi una conseguenza. ”Mi interessa il processo, non la forma”, ha detto più volte. Durante la guerra era stato ufficiale di marina, e raccontava d’essere stato affascinato dalla strumentazione navale, ”dove un radiogoniometro era in sé perfetto per l’uso cui serviva. Volevo trasferire nel design questa esattezza”. Una razionalità, però, che non raffredda la forma. Anzi, la fa vibrare. E rende ancor oggi i suoi oggetti, le tv e le radio disegnate per la Brion Vega, il telefono Grillo, le seggioline per bambini impilabili della Kartell, per citare solo oggetti che sono nella memoria di tutti, anche di chi non sa il nome dell’autore, non toccati dal tempo. Nel senso che ne leggi l’origine e il momento, ma non i segni del del superamento. Ebbe passioni politiche e civili, ricordava con felicità il periodo della progettazione del primo Piccolo Teatro - un restauro voluto da Paolo Grassi e Giorgio Strehler e appoggiato dal sindaco socialista Antonio Greppi, che vi vedeva il primo passo per un grande spazio scenico a disposizione della città - e accolse con entusiasmo la proposta, all’inizio degli anni Ottanta, di edificarlo, finalmente, quel grande teatro. Fu, in una vita molto fortunata e che vedeva in quell’edificio da sempre sognato il coronamento di decenni di lavoro, l’inizio di un periodo buio. Dopo i primi due anni i lavori si interruppero, la giunta socialista tagliò i fondi: non si riconosceva più ”nell’opera faraonica”, come la definì Bettino Craxi, dacché Giorgio Strehler, l’anima teatrale del progetto, aveva tagliato i ponti col Psi. Costò molto a Zanuso, tra polemiche tanto infondate quanto feroci e strumentali, tenere duro. Lo fece con dignità ammirevole. […] stato un grande architetto. E un uomo di tenace coraggio» (Maria Giulia Minetti, ”La Stampa” 12/7/2001).