Giovanni Maria Pace, Macchina del Tempo, n.6 giugno 2002, pag.52, 6 giugno 2002
E come la mettiamo con Darwin? Alcuni sostengono che i giovani avrebbero il pollice più sviluppato dei coetanei di ieri per via dell’uso intensivo che del dito oggi si fa
E come la mettiamo con Darwin? Alcuni sostengono che i giovani avrebbero il pollice più sviluppato dei coetanei di ieri per via dell’uso intensivo che del dito oggi si fa. Telefonini e videogame impongono un esercizio del pollice che non ha precedenti, e poiché ”l’esercizio sviluppa l’organo”, starebbe emergendo una thumb generation. L’ipotesi è difficile da provare: i cambiamenti morfologici si misurano sulla scala delle centinaia di migliaia, se non di milioni di anni. Ma i suoi sostenitori ritengono di avere dalla loro un buon argomento. L’uomo cambia, oggi la dentatura dei figli non è uguale a quella dei padri e la statura delle nuove generazioni è superiore, in media, a quella delle precedenti. Per quanto riguarda la statura, su cui influiscono fattori quali l’alimentazione, l’igiene e simili, si potrebbe dire che si tratta di un carattere lamarckiano. Si ricorderà che Lamarck sosteneva che la progenie eredita i caratteri acquisiti dall’individuo nel corso della vita. Darwin fu di tutt’altro parere e oggi si insegna che un carattere lamarckiano si perde quando le condizioni ambientali cambiano. Rispetto ai primi ominidi, noi siamo sicuramente dei giganti. Ma c’è chi sostiene che una riduzione della statura è in corso da 200mila anni. Oggi la tendenza pare essersi invertita, ma sul lungo periodo resta vera la riduzione. La questione del cambiamento evolutivo è avvolta, come si vede, nell’incertezza. La domanda è: caratteristiche non dettate dai geni ma perduranti a lungo in un numero sufficiente di individui possono diventare ereditarie? Il dibattito era vivo anni fa, ma perde interesse se capiamo i meccanismi spesso casuali dell’evoluzione. A volte, sostengono i neodarwiniani, nelle specie viventi emergono caratteri che non conferiscono vantaggi evidenti. Aggiungiamo che tra gli antropologi è diffusa l’opinione che la specie Homo sia ormai quasi impermeabile al cambiamento. Ciò perché l’umanità si è munita di protezioni che le permettono di sfuggire alla pressione dell’ambiente. Insomma, se ora il pollice sia davvero destinato a un revival evolutivo non sapremmo dire.