Marxiano Melotti, Macchina del Tempo n.6 giugno 2002, pag.53, 6 giugno 2002
"O Commodo sono nelle mani del tuo ditone". Nella Roma antica, così profondamente pragmatica, il pollice rivestiva uno straordinario valore simbolico, in grado di influire perfino sulla vita e la morte
"O Commodo sono nelle mani del tuo ditone". Nella Roma antica, così profondamente pragmatica, il pollice rivestiva uno straordinario valore simbolico, in grado di influire perfino sulla vita e la morte. Quando un gladiatore era caduto a terra, rialzatosi doveva deporre lo scudo, alzare un dito della mano sinistra e chiedere clemenza al pubblico e all’organizzatore dei giochi. Ecco allora che il popolo, privo di potere nella vita di tutti i giorni, poteva decidere della salvezza o della fine di un uomo. Il pollice rivolto verso il basso, il famoso ”pollice verso”, voleva dire morte; rivolto invece verso il cielo, significava che il gladiatore sarebbe rimasto vivo. Per un breve istante, un dito che nella vita normale era un semplice strumento di lavoro, diventava un segno di potere, prolungamento simbolico della mano, come lo scettro di un re o la spada di un generale. Il senso di onnipotenza di quel gesto faceva dimenticare umiliazioni e privazioni. Lasciato sfogare il pubblico, l’organizzatore o, se presente, l’imperatore, decideva, di solito sulla base del parere prevalente, la sorte del gladiatore. Il potere di vita o di morte, fondamento della società militarista e patriarcale romana, tornava così nelle mani di un princeps. Il pubblico, appagato della sua temporanea sovranità, accettava ogni scelta dell’imperatore, che, con il suo pollice (in questo caso vero sostituto simbolico di spada e scettro) riaffermava tutto il suo potere.