varie, 21 settembre 2002
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Ibrahimovic Zlatan
• Malmoe (Svezia) 3 ottobre 1981. Calciatore. Dal 2010/2011 al Milan, ha subito vinto lo scudetto. Lanciato dall’Ajax, con la Juventus ha vinto gli scudetti (revocati) del 2005 e 2006, con l’Inter quelli del 2007, 2008, 2009. Capocannoniere del campionato di serie A 2008/2009. Una stagione nel Barcellona (2009/2010) • «[...] era arrivato in Italia con la fama dell’anarchico, senza ruolo e senza continuità, sulla scorta di un talento enorme ma distribuito a dosi imperfette. Capello lo ha trasformato in un centravanti vero e quasi puro, sfrondandolo di molti fronzoli (il colpo di tacco a centrocampo, il tocco elegante ma inutile: prima ne esibiva due o tre a partita, ora uno ogni due o tre partite), limandogli gli spigoli del carattere usando spesso anche il pugno duro. “Lui deve imparare a stare in area anche se lì gioca pochi palloni: ma quelli che tocca li trasforma in oro. Non gli piace, preferisce arretrare, ma il suo futuro è da centravanti”. Anche per questo [...] Italo Galbiati, il collaboratore di Capello, lo addestra nel colpo di testa (Ibra non sfrutta affatto i suoi 191 centimetri) e nella freddezza sotto porta, i risultati sono stati notevoli [...] “Spesso centra il portiere”, osserva il tecnico: avesse anche la chirurgica freddezza di Trezeguet, sarebbe disumano. Affiorano talvolta certe bizze caratteriale (gomiti alti, testata facile, rapporti turbolenti con gli arbitri) [...] Qualcuno lo pensa barocco, lo guarda e crede che esageri, ma soltanto perché non lo vede bene: se talvolta tarda a restituire il pallone (è difficilissimo, comunque, portaglielo via) è perché non ha altre soluzioni. [...]» (Emanuele Gamba, “la Repubblica” 19/4/2005). «Le prime foto di Zlatan Ibrahimovic sono state scattate sullo sfondo dei casermoni gialli di Rosengard, paraggi di Malmoe. Svezia. Lì è nato il 3 ottobre del 1981, nel ghetto dove erano relegati gli immigrati dai Balcani, lì ha vissuto un’infanzia di grande miseria insieme alla madre Jurka, di origine croata, che si separò dal marito serbo, Sefik, quando Zlatan stava per venire al mondo. Famiglia numerosa: Ibra ha due sorelle più grandi di lui, Sanella e Violetta, più due fratelli e una sorella nati dal secondo matrimonio del padre. Tutto cominciò sui campi di quel quartiere periferico da cui gli svedesi giravano al largo. Interi pomeriggi trascorsi a inseguire un pallone in mezzo ai palazzi di dieci piani, a cinque anni ebbe il suo primo paio di scarpe da calcio. “Non so quante volte perse il pallone che scaraventava in mezzo alle sterpaglie” ricordava spesso la mamma, ridendo. Quei rettangoli di terra ricavati nel ghetto erano il suo Wembley, lo stadio dei sogni. Evidente che nel suo futuro ci fosse soltanto il calcio. All’età di 10 anni, quando era nel Balkan, squadra di immigrati slavi, in un’amichevole per ragazzi di 12 anni con il Vellinge l’allenatore lo lasciò in panchina nel primo tempo: 4-0 per gli avversari. Nel secondo tempo entrò in campo e segnò 8 gol: risultato finale 8-5. Quelli del Vellinge protestarono: “Quel ragazzino non può avere soltanto 12 anni”. Invece Zlatan ne aveva addirittura due di meno dei compagni di squadra. Lì si capì che non sarebbe mai stato uno qualunque. Infatti il Malmoe lo notò e a 13 anni lo inserì nelle sue formazioni giovanili fino a portarlo al debutto in prima squadra nel 1999. In due anni giocò 40 partite segnando 16 gol e facendo impazzire il padre, che divenne il suo primo fan. Ancora oggi colleziona tutto ciò che ha a che fare con la carriera del figlio e gira con la maglietta che porta il nome Zlatan sulla schiena. Campione, ma anche ragazzo con un carattere esuberante, molto sicuro dei propri mezzi, tanto da affermare: “Soltanto un infortunio potrebbe impedirmi di diventare il miglior giocatore del mondo”. Un complesso di superiorità che non gli ha mai procurato simpatie. Così come hanno fatto discutere certi suoi atteggiamenti da spaccone, da uno che vuole vivere la vita a mille all’ora. E infatti ama la velocità, ha tre auto sportive, fra le quali una Ferrari 360. Il piede pesante sull’acceleratore gli ha procurato parecchi problemi con la polizia. Ha pagato decine di multe, ma non è mai stato un problema. “Sono giovane e ho il diritto di divertirmi”: la sua filosofia di vita. Bravate ne ha compiute tante. Un giorno l’ha fatta grossa spacciandosi per poliziotto e minacciando d’arresto una prostituta di Malmoe. [...] Un carattere forte, uno che nel 2000 disse di no al tecnico dell’Arsenal, Arsene Wenger, che si presentò con la maglia dei Gunners con il nome Zlatan e il numero 9, il preferito dal giocatore. Meglio ancora una stagione a Malmoe, dove segnò 12 gol nel campionato successivo, facendosi notare dall’Ajax che lo ingaggiò nel luglio 2001 pagandolo 20 miliardi di vecchie lire e lo legò con un contratto fino al 2006. Presentato come l’erede di Van Basten, Ibrahimovic in realtà non è riuscito ad emulare il grande centravanti olandese di cui ha ereditato soprattutto il numero 9. Folgorante l’esordio con 4 gol in 60 minuti, ma non è poi riuscito a conquistarsi un posto fisso. Anche con la Nazionale svedese non ha vissuto giornate memorabili, almeno fino al 18 giugno 2004. Un colpo di tacco come quelli che sognava fra i casermoni di Rosengard ha segnato il destino dell’Italia del Trap e ha inciso profondamente anche sul suo futuro» (“La Stampa” 1/9/2004). «Il paragone con Van Basten ha un fondamento non soltanto per le caratteristiche fisiche ma anche per quelle tecniche. Perché se è vero che lo svedese è alto 192 centimetri (quattro in più dell’ex “Pallone d’oro”), è nei movimenti in campo e nei colpi sotto porta che Zlatan ricorda l’uomo che ha rifatto grande l’Ajax prima di passare al Milan. Lo ha lasciato intendere anche Ronald Koeman: “Con il pallone fra i piedi è straordinario, ma è ancora molto giovane e va lasciato maturare. Deve imparare a giocare senza palla, qualità fondamentale per fare strada”. […] Ha avuto un’infanzia povera, a Malmoe, dove i genitori erano emigrati dalla Jugoslavia allora ancora unita, in cerca di un futuro migliore. Nel ’93, la svolta: il ragazzo firma per il Malmoe, che lo fa crescere, ne sviluppa il talento, lo manda a giocare nel Flagg, prima di riprenderlo nel ’97. E con Ibrahimovic, il Malmoe in due stagioni ritrova la prima divisione e le vecchie soddisfazioni, finché decide che è venuto il momento di cederlo, perché venti miliardi di vecchie lire per un diciannovenne sono manna dal cielo anche per un club svedese: “Mi cercavano in tanti, l’Arsenal, ma anche Inter, Roma, Milan e Inter, ma io ho scelto l’Ajax, perché ho capito che forse nessun altro club in Europa si prende tanta cura dei giovani”. L’ostacolo vero sulla strada del successo stabile è il carattere irrequieto di Ibrahimovic, che non fa nulla per frenare la sua scapigliata giovinezza [...]» (Fabio Monti, “Corriere della Sera” 21/9/2002). «Ottantaquattro chili per 1 metro e 92, 47 di piede. Nato il 3 ottobre 1981. Il sito www.zlatan.net, documentatissimo, ci ricorda che quel giorno (del ’62) è nato anche Tommy Lee dei Motley Crue. Ah. Tipica storia del predestinato (quella di Zlatan, non di Tommy Lee). A dieci anni gioca nella rappresentativa under 12 del Ballkan. È in panchina, Ballkan sotto 4-0. Nella ripresa, entra lui e fa otto reti. Gli avversari fanno ricorso perché lo credono molto più grande, in realtà ha due anni meno di tutti i presenti. Passa al Malmo a 15 anni, una volta si sostituisce da solo (“facevo schifo”). A 18, dopo una vittoria, sentenzia: “Sono troppo forte, tra tre anni vado ai Mondiali di Corea, e agli Europei parto titolare. Io e Osmanovski faremo grande la Svezia”. Osmanovski a parte, le ha indovinate tutte. [...] Durante un’amichevole con la Norvegia, davanti a Beenhaker (allora tecnico dell’Ajax), dribbla due avversari di tacco, poi conclude con un lob di sinistro. Abbastanza perché Beenhakker lo porti all’Ajax, come giocatore più costoso nella storia svedese. Bravo, bello, geniale, ma incostante. E non troppo prolifico. Veloce con i piedi come con la bocca. Vero, anche se ultimamente (peccato) si è calmato (“non posso fare il clown tutta la vita”). La sua propensione alla battuta, merce oggi rara, ricorda - facendo i dovuti paragoni - Muhammad Ali. Lo sa anche lui. “Mi sento spesso come Ali. Prima di combattere, lui diceva che al quarto round l’avversario sarebbe andato giù. E l’avversario, al quarto round, andava giù. Anch’io sono così”. Tante le sue battute. Dopo una partita, un giornalista chiede: “Ehi, Zlatan, hai dei graffi sul viso, cosa è successo?”. Lui: “Ah, questi? Beh... non lo so. Forse lo dovresti chiedere a tua moglie”. “Zlatan, è vero che hai comprato una Porsche?”. “No, ho ordinato un aeroplano. È molto più veloce”. “C’è qualcosa che può impedirti di diventare il più forte del mondo?”. “A parte un infortunio, nulla”. “Chi è la donna più bella del mondo?”. “Non l’ho ancora incontrata. Quando lo farò, forse le concederò un appuntamento”. “Carew dice che non sei un granché”. “Quello che Carew fa con un pallone, io lo faccio con un’arancia”. Al suo allenatore del Malmoe, dopo una critica: “Ehi chi ti credi di essere, mia madre?”. Il giorno che arrivò all’Ajax, presentandosi ai compagni: “Ciao ragazzi, io sono Zlatan, voi chi cazzo siete?”. Memorabile la spiegazione che Ibra fornì alla stampa, dopo un dribbling che ridicolizzò Henchoz (Liverpool). “Come ho fatto a dribblarlo? È molto semplice. Prima sono andato a sinistra, e lui pure. Poi sono andato a destra, e lui pure. Poi sono andato ancora a sinistra. E lui è andato a comprarsi un hot dog”» (Andrea Scanzi, “il manifesto” 20/6/2004).