Walter Rauhe, Panorama 23/5/2002, 23 maggio 2002
Quest’anno saranno 43 mila le aziende tedesche a dichiarare fallimento. Non si tratta solo di ex fari della Germania spa, come la Kirch Media (comunicazione), la Fairchild Dornier (aeronautica), la Holzmann (edilizia), la Herlitz (cartiere), ma anche migliaia di piccole e medie imprese che trasferiscono la loro produzione in Spagna, Portogallo o Polonia, che sono stanche di attendere per anni la licenza edilizia per erigere un nuovo stabilimento e che sostengono di non potersi più permettere i contratti di lavoro stipulati a forza dai sindacati: nel settore chimico in crisi hanno ottenuto aumenti del 3,3 per cento, mentre in quello metallurgico l’Ig Metall chiede addirittura un più 6,5 per cento
Quest’anno saranno 43 mila le aziende tedesche a dichiarare fallimento. Non si tratta solo di ex fari della Germania spa, come la Kirch Media (comunicazione), la Fairchild Dornier (aeronautica), la Holzmann (edilizia), la Herlitz (cartiere), ma anche migliaia di piccole e medie imprese che trasferiscono la loro produzione in Spagna, Portogallo o Polonia, che sono stanche di attendere per anni la licenza edilizia per erigere un nuovo stabilimento e che sostengono di non potersi più permettere i contratti di lavoro stipulati a forza dai sindacati: nel settore chimico in crisi hanno ottenuto aumenti del 3,3 per cento, mentre in quello metallurgico l’Ig Metall chiede addirittura un più 6,5 per cento. Stipendi troppo alti dunque e un welfare che ancora oggi, nonostante un debito complessivo dello stato di ben 1.194 miliardi di euro, vale a dire a un indebitamento pro capite di 14.714 euro, garantisce a ogni cittadino senza impiego, o con entrate troppo basse, un decoroso sostentamento economico.