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 2002  ottobre 03 Giovedì calendario

Connelly Michael

• Philadelphia (Stati Uniti) 21 luglio 1956. Scrittore. Autore di romanzi di grande successo che lo hanno consacrato come uno dei maestri del thriller. All’università della Florida tentò inizialmente di seguire le orme del padre, costruttore, iscrivendosi alla facoltà di ingegneria, ma optò ben presto per il corso in giornalismo, che completò nel 1980. Cronista di nera fin dagli esordi della professione nei quotidiani locali della Florida, si fece ben presto notare per un’inchiesta sui sopravvissuti di un disastro aereo e fu chiamato al prestigioso ”Los Angeles Times” (vi rimarrà fino al ”94). Si trovò così a lavorare nella stessa città del suo eroe letterario, Raymond Chandler. Nel 1992, pubblicò una novella, l’Eco nera, ispirata ad un delitto accaduto a Los Angeles, dove compare la figura dell’ispettore Hieronymous Bosch. E fu subito un successo. Il poliziotto diventa il personaggio chiave di diversi suoi libri: Ghiaccio nero (1993), L’ombra del coyote (1995), Debito di sangue (1998). Nel 1996 pubblica Il poeta, un thriller che ha come protagonista un reporter. Con Il ragno, dove torna di nuovo l’ispettore Bosch, si aggiudica nel 2000 il Premio Bancarella. Democratico, apprezzato da Bill Clinton che è fanatico dei suoi romanzi, vive e lavora a Los Angeles. Tutti i suoi libri sono editi in Italia da Piemme. «Sono figlio di un costruttore che era figlio di un costruttore. Da bambino credevo che anch’io avrei seguito l’attività di famiglia, che avrei costruito case e appartamenti e anche shopping center. Quando andai all’università della Florida, nel 1974, mi iscrissi al corso di ingegneria civile, perché cercavo una formazione accademica nel mestiere che mio padre aveva imparato direttamente sul campo in Pennsylvania. I miei programmi erano fatti. Il futuro stabilito. Ma poi un libro cambiò tutto. Il libro era Il lungo addio di Raymond Chandler. Vi arrivai attraverso il film. Un lunedì sera lasciai il dormitorio e andai all’unione studentesca dove si potevano vedere film con un dollaro. Era prima dei video e dei dvd. Era un bel modo di vedere film che ci si era lasciati sfuggire. Avevo perso Il lungo addio di Robert Altman, che girava nei cinema qualche anno prima. Pagai il mio dollaro e guardai Elliot Gould impersonare il detective privato Philip Marlowe che lavorava su un caso nella Los Angeles contemporanea. Il film aveva tutti gli ingredienti appropriati: intrighi e pericoli, umorismo, perfino gente che faceva yoga nuda (molto California anni Settanta). Il film mi piacque. Mi piacque al punto che il giorno dopo andai in libreria e comprai il libro da cui era tratto. Di ritorno al dormitorio, cominciai a leggere. Avevo letto un mucchio di libri gialli negli anni, soprattutto libri che mi passava mia madre. Ma per qualche ragione le opere di Raymond Chandler mi erano sfuggite. Leggere Il lungo addio cambiò completamente il mio modo di pensare al genere. Il libro era un giallo in piena regola. Ma era anche molto di più. Era uno studio su un luogo e un tempo precisi. Sembrava catturare l’essenza della città chiamata Los Angeles. Non avevo mai visto Los Angeles se non nei film e alla televisione. Ma la visione che mi offrì questo libro era unica. Il detective aveva una visione della sua città sardonica e disillusa. Ma nutriva anche anche tanto amore e tante speranze nei suoi confronti. La descriveva con una prosa che non avevo mai trovato in un giallo prima d’allora. Era la prima volta che pensavo a un libro giallo come a un’opera d’arte. Ed era la prima volta che un personaggio mi avvinceva con tanta forza in un libro di questo genere. Marlowe era implacabile e intrepido. Era un tipo saggio, che sapeva incassare un pugno. Non era intimidito né dagli uomini né dalle donne. Era leale e non subiva tradimenti da nessuno senza reagire adeguatamente. Frequentava i quartieri malavitosi ma aveva un codice d’onore, un suo libro di regole che veniva prima di qualsiasi altro. Era roba esaltante. Forse perché ero solo in un ambiente estraneo per la prima volta nella mia vita. Forse perché non ero un gran bravo studente quando si trattava di lezioni di ingegneria. Forse perché anch’io mi sentivo un diverso. Forse per tutte queste ragioni messe insieme ritornai in libreria dove andai agli scaffali dei gialli e presi tutti gli altri libri scritti da Raymond Chandler. Mi ritirai entro i confini solitari del dormitorio e cominciai a leggere. Non andavo più a lezione. Leggevo solamente. La sorellina. Addio mia amata. Finestra sul vuoto. Ancora una notte. E così via. Li lessi tutti e poi ricominciai a leggerli. Entrai in un tunnel in cui ero circondato solo dal mondo di Chandler. E quando uscii da quel tunnel sapevo una sola cosa: che volevo andare a Los Angeles e scrivere storie su un detective che aveva il suo codice d’onore, che a modo suo era nobile e sapeva che c’era una linea netta tra giusto e sbagliato. Poco dopo il viaggio attraverso quel tunnel, presi il telefono e chiamai casa. Dissi a mio padre che non avrei seguito le sue orme. Gli dissi che volevo fare lo scrittore» (’Corriere della Sera” 24/8/2003). «’Quando lavoravo come cronista, cercavo di tenere un cuscinetto di salvataggio tra me e le cose che vedevo. Quando vai troppo vicino al buio, la tenebra rischia di ricoprirti. Ma se succedesse qualcosa a me o alla mia famiglia, vorrei avere a che fare con un investigatore come Bosch. Purtroppo non ce ne sono molti, quelli come lui durano poco, si bruciano in fretta”.La Los Angeles di Connelly (’ma adesso mi sono trasferito in Florida per permettere a mia figlia di cinque anni di stare vicino ai nonni”) sembra una versione moderna del Giardino delle delizie dipinto nel Cinque cento da Hieronymus Bosch, un’opera che nasconde, rivelandola, la presenza del demoniaco nel quotidiano e che in questo romanzo ha una notevole importanza. E se anche nella polizia c’è del marcio (il male nei libri di Connelly a volte porta il distintivo), lo scrittore sostiene di avere, tutto sommato, fiducia nel sistema giudiziario americano. ”Se dovessi finire nell’ingranaggio della legge non penserei ”oddio sono finito’. Credo che se anche facessi qualcosa di sbagliato, subirei un giusto processo e verrei punito in modo equo […] Ho l’ambizione di fare dei miei libri lo specchio di quello che accade nella società”» (Cristina Taglietti, ”Corriere della Sera” 1/10/2002). Vedi anche: Antonio D’Orrico, ”Sette” n. 23/1999.