Varie, 3 ottobre 2002
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Foer JonathanSafran
• Washington (Stati Uniti) 21 febbraio 1977. Scrittore • «Ha compreso subito, con un entusiasmo e un estro che non si smentiscono mai, che scrivere romanzi è il più disperato, gioioso e funambolico di tutti i giochi umani. […] Vive a New York: appartiene, così dicono le biografie, a una famiglia israelita “laica”, che si è lasciata dietro le spalle la Bibbia e la tradizione cabalistica e chassidica. Eppure, per lui, niente è più vicino al cuore di ciò che migliaia di paesi, di shetl, dell’Europa orientale hanno pensato e immaginato per secoli. […] Come quasi tutti gli ebrei, è posseduto da una profonda passione religiosa e teologica. Questa passione afferma, in primo luogo, che Dio non esiste. Ma non è una affermazione illuministica: noi sappiamo che Dio non esiste soltanto perché tutti i Suoi volti nascosti e segreti hanno cercato in tutti i modi a dimostrarcelo. Egli ha tentato di rivelarci definitivamente la propria inesistenza-assenza durante la seconda guerra mondiale, quando gli abitanti degli shetl vennero uccisi, senza che Egli intervenisse. In ogni caso, Dio è triste; e gli ebrei rispondono alla Sua inesistenza-esistenza con la loro triste allegria. La bis-bis-bis-bis-bisnonna di Jonathan, Brod, conosce seicentotredici tristezze: tra le quali la Tristezza dello Specchio, la Tristezza degli Uccelli Addomesticati, la Tristezza di esser Triste davanti a un Genitore, la Tristezza dell´Umorismo, la Tristezza dell’Amore senza Scioglimento» (Pietro Citati, “la Repubblica” 2/10/2002) • «Quando pubblicò a soli venticinque anni Ogni cosa è illuminata, fu salutato come il più interessante talento della nuova generazione di narratori americani. I critici e gli addetti ai lavori avevano già avuto modo di notare i racconti pubblicati sulla “Paris Review” e sul “New Yorker”, ma è con quel romanzo, uscito in Italia presso Guanda, che venne attribuito al suo lavoro l’attenzione che si riservano alle grandi promesse. Nel giro di pochi anni il giovanissimo scrittore divenne il centro dell’attenzione della critica letteraria che ne esaltò l’invenzione drammaturgica, il coraggio spudorato con cui esibì i propri sentimenti, l’ironia, e l’audacia con cui riuscì a reinventare la lingua inglese attraverso un idioma che aveva più di un’assonanza con quello creato da Burgess per Arancia meccanica. Mentre cominciarono ad arrivare anche gli elogi incondizionati dei colleghi scrittori (Russel Banks parlò di “un autore eccezionalmente dotato”), Ogni cosa è illuminata divenne un bestseller internazionale, ed inevitabilmente un film, diretto da Liev Schreiber ed interpretato da Elijah Wood [...] “Considero un mio romanzo come la foto di qualcuno che amo, e penso che i film siano come delle sculture che qualcun altro ha realizzato sullo stesso soggetto. Quello che amo non è il romanzo, ma la persona ritratta. Il libro ne è solo una espressione, e credo che il regista non interpreti il romanzo ma quello di cui il romanzo parla [...] per me la letteratura è come un aeroplano che mi porta in luoghi che mi piace visitare, e che altrimenti non avrei mai conosciuto. E le parla una persona che non ama volare [...] penso sempre a quella battuta di Brodsky secondo cui ‘la rima è più intelligente del poeta’. Scriviamo in versi o secondo la nostra ispirazione per motivi più profondi e che forse ci sfuggono rispetto al fatto che ci sembrano efficaci. Il libro è sempre più intelligente del suo autore”» (Antonio Monda, “la Repubblica” 22/1/2005).