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 2002  ottobre 11 Venerdì calendario

Grossman David

• Gerusalemme (Israele) 25 gennaio 1954. Scrittore • «Sta in un villaggio a dieci minuti da Gerusalemme, Mevasseret Zyyon, nome biblico che significa ”L’annunciazione di Sion”. Infatti Sion, che è uno dei tanti modi di chiamare Gerusalemme, si intravede oltre la collina successiva. Ma il villaggio non potrebbe essere più diverso e culturalmente distante dalla culla delle tre religioni monoteiste: somiglia a un placido sobborgo americano, linde villette attorno a uno shopping-center, al cui centro svetta la ”M” gialla di un McDonald’s. Non un luogo particolarmente pittoresco, ma Grossman ci si è stabilito con la moglie e i tre figli quindici anni fa e qui ha scritto la maggior parte dei suoi romanzi, da Vedi alla voce: amore, che divenne un caso letterario nel 1988, fino a Qualcuno con cui correre [...] La sua casa ha l’aria di un ostello studentesco, libri, biancheria, stoviglie sparpagliati dappertutto; e lui ha l’aspetto di uno studente fuori corso. Invece è uno scrittore nel pieno della maturità artistica, tradotto in mezzo mondo, oltre che un assiduo commentatore della crisi mediorientale su numerose testate nazionali e straniere, con articoli in cui riversa tutto il suo impegno di pacifista militante. [...] ”Anche se non ci vivo, Gerusalemme resta la mia città, il luogo in cui sono nato e cresciuto. Mio padre ci si stabilì nel 1936, quando emigrò in Palestina dalla Polonia; mia madre ci è nata nel 1948, l’anno della guerra d’Indipendenza e della fondazione di Israele [...] Nella famiglia di mio nonno paterno sedici persone sono finite nei forni crematori di Hitler. Ma quando ero bambino i miei genitori non parlavano mai della Shoah, che a quell’epoca in Israele era vissuta come un tabù. All’uomo nuovo creato dal sionismo sembrava inammissibile che sei milioni di ebrei si fossero lasciati massacrare dai nazisti. I sopravvissuti si vergognavano. Solo più tardi, col processo a Eichmman, negli anni Sessanta, l’atteggiamento cambiò [...] Mio padre era autista di bus, mia madre segretaria, non eravamo certo agiati, ma non mi hanno fatto mancare niente. La mia generazione era considerata l’equivalente di un miracolo. Quella dei miei genitori pensava di essere sfuggita al genocidio per un pelo, e di colpo qui aveva uno stato, un esercito, dei figli che spesso parlavano ebraico meglio di loro e che simboleggiavano tutte le aspettative, tutti i sogni del popolo ebraico. Ma proprio per questo c’era molto nazionalismo in Israele in quegli anni, era difficile mantenere una visione individuale, dubitare, pensare diversamente. Ho dovuto finire le scuole e fare il soldato per cominciare ad aprire gli occhi [...] A 10 anni vinsi un concorso alla radio, cominciai a fare prima l’attore radiofonico e poi il mini-giornalista. Dopo il servizio militare ho continuato a fare il giornalista alla radio sul serio. E nel tempo libero scrivevo [...] Gli scrittori che ha amato di più? Virginia Wolf, Kafka, Bruno Schulz, Borges. L’Ulisse di Joyce. Tra i miei compatrioti, devo molto a Shabtai, oltre che a Oz e Yehoshua, più anziani di me, che ho letto come un discepolo. E poi un nutrito gruppo di italiani, Calvino, Primo Levi, Sciascia, la Morante» (Enrico Franceschini, ”la Repubblica” 14/9/2001).