Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’avvocato milanese Mauro Straini ha chiesto alla Cassazione se una certa condanna a quattro anni per detenzione di marijuana comminata al suo cliente albanese lo scorso 22 gennaio fosse o no da ricalcolare, e la Cassazione, prendendo in esame un caso identico sottoposto al suo giudizio dalla Procura di Napoli, ha risposto ieri che sì, è da ricalcolare, anzi sono da ricalcolare – previa richiesta dei rispettivi avvocati – tutte le condanne in via definitiva per spaccio lieve di droga.
• Di quanta gente si tratta?Cifre sicure non ce ne sono, ma si parla di diecimila detenuti. Costoro potranno chiedere ai loro avvocati la stessa cosa che hanno chiesto Straini e la Procura di Napoli, cioè il ricalcolo su basi più miti della pena. Ricalcolo che comporterà di fatto l’uscita dal carcere. La Suprema Corte, con la sentenza di ieri, ha anche precisato che «non si possono avvantaggiare i detenuti condannati in via definitiva per spaccio di droghe pesanti commesso con l’associazione a delinquere». Secondo cifre che circolavano ieri i detenuti per droghe pesanti sono cinquemila, quelli per droghe leggere 9-10 mila. Ma i numeri, come ho detto, sono incerti. D’altra parte una presa di posizione della Cassazione era indispensabile, parecchi tribunali non erano sicuri della condotta da tenere, altri avevano già provveduto al ricalcolo, per esempio Varese, dove sono stati passati al vaglio una sessantina di fascicoli relativi a indagini e procedimenti per droghe e s’è deciso di rimettere in libertà quindici persone (sette stavano in carcere, otto ai domiciliari).
• Mi sento su un terreno insicuro. Sento che c’è confusione.
La confusione deriva dal fatto che lo scorso febbraio la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi del 2006 e ha rimesso in vigore la precedente legge Iervolino-Vassalli del 1990. Stringi stringi, il problema consiste in questo: è sensata la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, presente nella vecchia Iervolino-Vassalli? Il governo Berlusconi del 2006 pensava di no, e la Fini-Giovanardi stabiliva, con severità a sinistra giudicata eccessiva, che spacciatori o consumatori di droghe leggere e di droghe pesanti andassero puniti allo stesso modo. Questo rigore ha moltiplicato la popolazione carceraria, che per il 40 per cento è formata da tossicodipendenti. Di qui, discussioni a non finire e una legge finale, varata da pochi giorni, che porta il nome dell’attuale ministro Lorenzin.
• Ne parliamo subito, ma prima voglio sapere perché la Fini-Giovanardi e il suo rifiuto di distinguere tra droga e droga è incostituzionale.
Per il modo in cui è stata approvata. Invece di presentare al Parlamento una legge dedicata, le norme della Fini-Giovanardi vennero immesse dal governo Berlusconi nel solito provvedimento-monstre che trattava le materie più disparate. Un metodo che non è ammesso e al quale però, per aggirare le lungaggini del Parlamento, hanno fatto ricorso tutti i governi.
• Che cosa stabilisce la legge Lorenzin?
Pene alternative e più miti, e ha nuovamente introdotto la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere. Generalmente parlando: secondo questa legge sono droghe pesanti quelle basate sulla cannabis artificiale, leggere quelle basate sulla cannabis naturale. Ci sono state, su questo, polemiche a non finire e mugugni del Ncd, benché la Lorenzin – molto convinta del testo – sia del Ncd. Il governo Renzi ha dovuto mettere la fiducia sia alla Camera che al Senato per troncare le obiezioni. Il giudizio sull’efficacia di questa nuova normativa è tuttavia dubbio. A San Patrignano, per esempio, che si sia nuovamente introdotta la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere non è piaciuto.
• L’effetto benefico sull’affollamento delle carceri però è garantito.
Sì, questo sì. Una delegazione del Parlamento Ue ha visitato lo scorso marzo Rebibbia e Poggioreale e ha stilato un rapporto per noi vergognoso. 60.828 galeotti per 47.857 posti (o forse 41 mila posti). In una situazione che è in media quanto a numero di prigionieri (uno ogni mille abitanti). L’esame di Rebibbia è andato male, quello di Poggioreale peggio: due cucine per 2.354 detenuti, sovraffolamento, blatte, e una cella zero evidentemente destinata al pestaggio dei prigionieri da parte degli agenti. C’è troppa gente che ha a disposizione appena tre metri quadri di spazio. Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), ha detto una decina di giorni fa che ci sono ancora diecimila detenuti che vivono in meno di quattro metri quadri, ma che la situazione va migliorando: in un anno si è passati da 66 mila detenuti a 59.500, l’obiettivo di arrivare a 50-55 mila detenuti non sarebbe lontano.
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