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Parliamo del debito pubblico, quei 180 milioni che ogni giorno affossano l’Italia
il Giornale
Le emergenze delle quali il nuovo governo si dovrebbe preoccupare sono tre: il debito pubblico, il debito pubblico e il debito pubblico. Tutto il resto è di contorno. Perché se non si risolve il problema dei 65,6 miliardi che, solo nel 2017, si sono volatilizzati per pagare gli interessi, è molto difficile che l’Italia possa avere un futuro da Paese libero, come Lega e 5Stelle (più Lega che 5Stelle) vorrebbero dalla «speculazione internazionale» dal «ricatto dei mercati» e dalla «schiavitù dello spread». Lo dicono i numeri. Quelli in queste pagine, elaborati dal sito di datajournalism Truenumbers.it, sono tutti di fonte ufficiale e disegnano il quadro di un Paese che è seduto su una bomba atomica.
Basti pensare che l’Italia è il quarto Paese più indebitato del mondo: a fine 2017 il rapporto tra debito pubblico e Pil era di poco superiore al 133%, un livello che ci colloca tra Libano e Capo Verde. E non è vero che i 2.302.340.000.000 (2mila miliardi 302 milioni e 340mila) euro sono dovuti alla qualità e quantità di servizi pubblici che lo Stato produce perché meno indebitati di noi sono Stati che hanno un welfare efficiente come se non più del nostro come Belgio, Francia e Spagna.
Cercare le cause del un debito stellare è compito degli storici, ma quello che fa paura è la cronaca. Ad esempio: gli ultimi governi, nonostante i proclami e i titoli compiacenti dei giornali, non hanno affatto abbassato il debito. Il governo Renzi, quello che si vanta di averlo «stabilizzato» lo ha in realtà aumentato di 111 miliardi e 999 milioni pari a 110 milioni ogni giorno di legislatura. Quello Gentiloni lo ha accresciuto di 82 miliardi e 794 milioni pari a 183 milioni ogni giorno di permanenza a Palazzo Chigi. E lo hanno aumentato nonostante il loro ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, fosse consapevole del fatto che l’aumento del debito fa aumentare la spesa per interessi che non è solo la componente che più zavorra la crescita (perché drena risorse pubbliche che possono essere impiegate in modo produttivo) ma è quella che più espone l’Italia alla «schiavitù dello spread».
Per liberarci da questa «schiavitù» gli acquisti di Btp da parte della Bce può fare poco, pochissimo. Dal 2015, infatti, la Banca centrale europea compra titoli del debito pubblico di tutti i Paesi dell’Eurozona contribuendo a tenere bassi i tassi d’interesse rendendo più sostenibile il debito. Ebbene: sembrerà incredibile, ma la Bce di Mario Draghi compra più debito pubblico tedesco che italiano. Significa che i tedeschi, che lo accusano di voler «salvare» il proprio Paese comprando Btp, in realtà stanno beneficiando del quantitative easing molto, ma molto di più dell’Italia. Il motivo è semplice: la Bce non compra debito pubblico degli Stati proporzionalmente al debito che hanno, ma in proporzione al Pil e alla popolazione e la Germania è il Paese con il Pil più grande e il maggior numero di residenti di tutta Europa. E anche vero che la quantità di acquisti è discrezionale e che la Bce compra leggermente più Btp di quanti non dovrebbe se seguisse alla lettera la regola del Pil, ma considerando che nell’aprile 2018 gli acquisti di Btp sono stati pari ad appena 3,9 miliardi (rispetto a 4,7 miliardi di bund), si capisce che la Bce può davvero fare pochissimo.
Il fatto che la Bce compri più debito tedesco che italiano rende credibile la teoria in base alla quale non sono i rendimenti sui Btp italiani ad essere troppo alti (2,88% all’ultima asta), ma sono i rendimenti dei bund tedeschi ad essere troppo bassi (addirittura negativi in termini assoluti). E lo sono non solo perché l’economia di Berlino viaggia come un treno e perché il debito è ampiamente sotto controllo e perché ha una politica talmente stabile da essere granitica, ma anche perché Draghi compra bund a piene mani. Se Lega e 5Stelle volessero «battere i pugni sul tavolo» in Europa dovrebbero riuscire a cambiare il principio che regola il comportamento della Bce.
Dire che è impossibile è tanto ovvio quanto inutile. Così come è tanto ovvio quanto inutile dimostrare con i numeri che la riduzione del debito è l’unica strada per liberarsi da qualsiasi «schiavitù» dello spread. A meno che non lo si voglia fare per alimentare una pericolosissima propaganda.
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