Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Facciamo il punto: Telecom è di fatto diventata spagnola, se la sono comprata quelli di Telefonica (poi vedremo come); Alitalia finirà sotto il controllo di Air France entro poche settimane; Ansaldo Energia è destinata ai coreani di Doosan; Sts (sempre Ansaldo) finirà agli americani di General Electric; Hitachi si prenderà la Breda. Lo scorso 10 luglio discutevamo della cessione di Loro Piana a Louis Vuitton e dell’arrivo da noi di un mucchio di stranieri, in genere francesi, non solo nel comparto stile-moda-cosmetica (Fendi, Pucci, Gucci, Safilo, Bulgari, Brioni, Valentino, Pomellato, Acqua di Parma, Bottega Veneta, Sergio Rossi), ma anche nell’alimentare (Algida, Bertolli, Santa Rosa, Riso Flora, Parmalat, Galbani e Invernizzi, Cademartori, Locatelli, Buitoni, Sanpellegrino, Perugina, Motta, Antica Gelateria del Corso, Cova, Valle degli Orti, Peroni, Gancia e i pelati Ar comprati addirittura dai giapponesi della Mitsubishi). Ora, le alienazioni di Telecom, Alitalia e delle società dell’Ansaldo segnano un salto di qualità. Almeno le prime due sono sempre state definite “strategiche” e quindi impossibili da consegnare agli stranieri. In un paese lungo come l’Italia pare assai imprudente che il sistema aereo sia consegnato ai francesi. E Telecom, tra l’altro, ha la rete, un bene in sé, che permette agli italiani di comunicare tra di loro e su cui l’ultima parola spetterà a questo punto agli spagnoli.
• Che si può fare?
Non si può fare niente. Alitalia ha debiti per più di un miliardo di euro, 250 milioni in cassa, non ha più il monopolio della linea Milano-Roma (ha vinto il treno), perde ogni anno sempre di più, domani i soci dovranno decidere se aderire all’aumento di capitale di 300 milioni, destinati per un 40% ad essere assorbiti, dal marzo prossimo, dalle sole tasse aeroportuali, aumentate a 10 milioni al mese. Telecom ha debiti per 40 miliardi e un patrimonio netto negativo di 17 miliardi. «Patrimonio netto negativo» significa che le sue perdite in attesa di copertura, sottratte a tutto ciò che l’azienda possiede (capitale sociale, rete, immobili, titoli), danno un risultato di -17 miliardi. A chi vuole vendere un’azienda ridotta in queste condizioni?
• Come mai gli spagnoli se la comprano?
È una mossa disperata anche quella degli spagnoli, che hanno conti orribili allo stesso modo: debiti per 66,8 miliardi e patrimonio netto negativo per 22. Bastano questi numeri per capire che anche l’acquisizione da parte loro non è l’ultimo atto di una tragedia industriale e finanziaria che si trascina dall’Opa del 1999 di Colaninno-Gnutti. Quasi certamente Telefonica, l’anno prossimo, diventerà socio al cento per cento di Telco, venderà Tim Brasil e Argentina, e cercherà di guadagnare in Italia, cosa non semplice dato che quello italiano è un mercato maturo, a redditività sempre più bassa e dove servono investimenti almeno per trasformare la vecchia rete in una rete a banda larga. Investimenti enormi.
• Che cos’è Telco?
In Italia funziona ancora (ancora per poco) il sistema delle scatole cinesi. Invece di possedere Telecom, possiedo una società che di Telecom ha solo il 22%, ma comando lo stesso perché il resto è in Borsa e dunque è come se avessi il cento per cento. Un vecchio trucco, che ha consentito, per esempio agli Agnelli, di controllare il loro impero con percentuali che erano anche inferiori al 3% (basta costruire una scatola che controlla una scatola che controlla una scatola e così via all’infinito fino a che alla scatola messa in cima alla piramide basta uno zero virgola per comandare su tutto). L’operazione, per ora, riguarda appunto Telco, la società che controlla Telecom. In Telco, residuato della vecchia gestione Tronchetti (allora si chiamava Olimpia), i soci sono Telefonica, Generali, Intesa e Mediobanca. Un aumento di capitale, sottoscritto tutto da Telefonica, porterà la compagnia spagnola al 66% e ridurra le altre, rispettivamente, al 19,32 (Generali) e al 7,34 (Intesa e Mediobanca). In seguito, con altri aumenti di capitale, acquisto di azioni dai due partner e opzioni call (diritto di acquisto a prezzo predeterminato), Telefonica arriverà al 70% e forse al 100 per cento. Nel frattempo si scioglierà il patto di sindacato...
• Che cos’è?
È la seconda gamba su cui cammina il falso capitalismo italiano. Dopo essersi assicurato il controllo di una grande azienda attraverso le scatole cinesi, i capitalisti italiani si difendono da eventuali attacchi dall’esterno (ingresso di soci sgraditi, offerte di pubblico acquisto) con i patti di sindacato: mettono in comune un pacchetto di azioni e decidono che quelle azioni è come se appartenessero a un solo socio, non possono essere vendute, votano allo stesso modo, eccetera. Tutte le grandi aziende italiane sono blindate così. Solo che adesso le grandi aziende italiane non fanno più profitto e non rendono nemmeno in termini politici, perché i politici hanno altro a cui pensare. È finito pure il cosiddetto «capitalismo di relazione». Il ministro Lupi ha detto l’altro giorno che sulla cessione di Alitalia ai francesi non ha obiezioni.
• Siamo cioè nel bel mezzo di una rivoluzione di sistema?
Esatto. I patti di sindacato, le scatole cinesi e – terzo elemento – la perenne disponibilità della politica a lasciare che i profitti fossero privati e le perdite pubbliche, sono finiti. Mediobanca, che al tempo di Cuccia fu al centro di questo sistema (definito del «salotto buono»), vuole liberarsi di tutti i patti di sindacato e vendere tutte le partecipazioni non strategiche. Generali idem. Le banche, che stanno per essere strette dalla vigilanza europea, non hanno più la forza finanziaria per partecipare a questi balletti. L’addio a Telecom e ad Alitalia è molto di più che il passaggio in mani straniere di due campioni nazionali.
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