Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il primo passo per l’abolizione delle Province è stato compito: ieri la Camera ha dato il via libera al relativo disegno di legge con 277 sì, 11 no e 7 astenuti. Hanno votato a favore Pd, Nuovo centrodestra, Scelta Civica, Per l’Italia (cioè i casiniani). Contro Sel. Ma Sel (cioè i vendoliani) è rimasto in aula, e ha garantito così il numero legale, facendosi accusare perciò dal Movimento 5 Stelle di essere una «stampella del governo». I deputati del M5S, con quelli di Forza Italia e della Lega, avevano abbandonato l’aula, giudicando il provvedimento un pasticcio o una finzione. Brunetta aveva tentato di ottenere dalla Boldrini una conferenza dei capigruppo che rinviasse la seduta, ma non è riuscito nell’intento. «Faremo qualsiasi cosa, ma questi atteggiamenti leonini non sono accettabili. Ho cercato il presidente Boldrini ma non ha risposto. Questa vicenda è un’offesa, una inutile violenza al Parlamento. Di questo Boldrini dovrà rendere conto».
• Non dovremmo essere felici del taglio delle province? Da molto tempo non si parla quasi d’altro.
Dovremmo essere contenti, e però, se vogliamo fare un ragionamento serio, bisognerebbe che l’abolizione delle province, o di qualunque articolazione dello Stato, seguisse un generale ripensamento di come funziona la cosa pubblica e non fosse, per dir così, un procedimento appiccicato a ciò che già esiste.
• Che pericolo c’è a tagliare le province?
A parte che il taglio, come vedremo, è molto relativo, il pericolo è che in questo modo, invece di una semplificazione e uno snellimento, si provochi un aumento di confusione. Abbiamo già fatto l’esperimento con la riforma che avrebbe introdotto il federalismo. Ha introdotto il federalismo, ma senza eliminare il centralismo. Così sommiamo oggi i costi e i difetti dei due sistemi, senza avere il vantaggio di nessuno dei due. Quindi, sull’abolizione delle province, posso esser contento perché i deputati hanno deciso di darsi una mossa (s’è votato fino a notte inoltrata), non giurerei però sull’efficacia di quanto è stato approvato. Resta la vecchia sensazione che i parlamentari ormai non sappiano bene quello che fanno.
• Come funzionerà adesso la cosa?
I consigli provinciali sono trasformati in assemblee dei sindaci, che lavoreranno a titolo gratuito. Sono anche state istituite nove città metropolitane: Roma, Milano, Torino, Firenze, Venezia, Genova, Bologna, Bari, Napoli (dalla lista fatta a suo tempo da Monti manca Palermo). S’è anche stabilita una disciplina per la fusione dei comuni, accorpando quelli più piccoli. Attualmente i comuni italiani sono più di ottomila, ed è stato calcolato che un numero non patologico dovrebbe attestarsi intorno ai cinquemila. Un istituto chiamato provincia continuerà ad esistere, però, e comprenderà un’area più vasta dell’attuale. I suoi rappresentanti saranno scelti dagli amministratori locali. I fautori della legge sottolineano il fatto che non bisognerà più pagare lo stipendio a presidenti, consiglieri e assessori. Il sospetto è che si sia trovato il modo per tenere in piedi comunque una struttura locale intermedia tra Comune e Regione. Ricordo che le Province così come le conosciamo costano una sessantina di miliardi l’anno. Non direi che questo costo è stato abolito e non direi che il sistema è stato snellito. I cinquestelle gridano che si tratta di una riforma per finta. Voglio vedere il testo che uscirà dal voto del Senato, ma ho l’impressione che abbiano ragione.
• Tanto quelli che vogliono mantenere la struttura attuale ricorreranno sicuramente al Tar, che, come è noto, ha più potere del Parlamento.
Antonio Saitta, presidente dell’Upi (Unione delle Province d’Italia), annuncia effettivamente battaglia: «Il Governo e il Parlamento - attacca - diranno che hanno abolito le Province, ma la verità è che non solo sono state mantenute, ma è stato fatto un gran pasticcio che ci preoccupa. Perché con questo pasticcio sono a rischio servizi essenziali per i cittadini». Secondo Saitta la legge lede «un diritto inalienabile di cittadinanza, l’Upi presenterà ricorso e il primo, da privato cittadino, sarà il mio. Vietando ai cittadini di votare chi li amministrerà la legge di stabilità lede il diritto di voto libero, segreto, e non limitabile, sancito dall’articolo 48 della Costituzione». • È vero?
La Costituzione (articolo 140) non specifica mai che il governo delle Province debba essere eletto. L’articolo 48 della Carta sembrerebbe riferirsi alle elezioni politiche. Ma chi s’azzarda più in ad aver pareri in questa materia? Con la sentenza sul Porcellum, la Corte costituzionale ci ha fatto sapere di essere in grado di integrare da sé la Costituzione là dove sembri manchevole. Quindi è possibile che l’Upi ottenga dalla Consulta che il Parlamento sia smentito. Questa possibilità è non ultima causa del caos normativo in cui troviamo.
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