Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Calcoli fatti con l’aiuto del ministero degli Interni dicono che gli islamici pericolosi in Italia dovrebbero essere 1000-1500. Finora ne sono stati allontanati 55, sugli altri sono in corso controlli più stretti ed è possibile che le espulsioni si moltiplichino. Il lupo solitario che si fa saltare in chiesa o allo stadio senza aver ricevuto il mandato da nessuno può esserci: e, si deve ammetterlo, non c’è mezzo per fermarlo.
• Quindi?
Quindi, spiegano dal Viminale, si moltiplicheranno le perquisizioni nelle case e nelle moschee, la vigilanza nelle carceri (8000 musulmani e 52 moschee interne) e i controlli dei siti internet, sapendo comunque che da noi il fenomeno è meno vistoso che in Francia: lo scorso settembre i servizi hanno censito 87 foreign fighters nei campi di battaglia di Iraq e Siria, e di questi gli italiani erano appena 12. Per il momento, bisogna accontentarsi dei 700 soldati mandati a Roma - e che per strada si fanno vedere - a cui se ne aggiungeranno altri 300. Mancano le risorse a causa della spending review sulle forze dell’ordine, ma, stando a quello che dicono tutti, arriveranno anche gli stanziamenti. Si tratterà anche di applicare quanto disposto dall’Unione europea e che verrà ratificato nel vertice tra i ministri dell’Interno del Continente in programma per venerdì. Certe misure si conoscono già: schedare tutti quelli che partono per un Paese extra Schengen e poi ritornano in patria; il codice della prenotazione (pnr) del passeggero; tracciamento di tutti quelli che entrano nella Ue; collaborazione reale tra i vari servizi segreti. Il codice pnr (che arriva a profilare i gusti dei passeggeri) è fortemente contestato, perché squarcia in modo definitivo la privacy: era stato proposto dopo Charlie Hebdo , ma resistenze interne ad ogni partito ne hanno impedito l’approvazione. Sono richieste che vengono dalla Francia, e adesso c’è una sensibilità diversa, dunque può darsi che siano accolte.
• La Francia ha anche chiesto un aiuto militare...
Non proprio, e comunque siamo per ora ancora alla fase degli annunci, perché la richiesta formale di aiuto ai partner della Ue non è stata ancora attivata. La questione non è semplicissima, anche se all’annuncio-richiesta di Holland, preceduto dal drammatico «Siamo in guerra», c’è stata un’unanimità di annunci-risposta favorevoli. L’Ue ha detto sì alla richiesta di assistenza militare. Però una cosa sono gli annunci, una cosa le decisioni vere.
• Dov’è il problema?
L’articolo da attivare, per la prima volta, sarebbe il 42.7 del Trattato di Lisbona. Dice così: «Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri». Hollande potrebbe invocare anche altri articoli, che regolano gli interventi dell’Onu o della Nato, tutti però fanno evidentemente riferimento a un’aggressione esterna, cioè uno Stato che attacca un altro Stato. I consulenti giuridici del presidente francese devono averglieli sconsigliati perché, se richiamati, implicherebbero intanto il riconoscimento dell’Isis come Stato, e nessuno vuole dare questa patente al Califfo. Inoltre, i fatti del 13/11 prefigurano davvero un’aggressione esterna? Ma se quattro membri del commando erano cittadini francesi! L’articolo 42.7, parlando invece di «aggressione armata nel suo territorio» lascia qualche margine interpretativo, anche se è ovvio che i firmatari di Lisbona pensavano a un caso di attacco classico .
• In che consistono questi «aiuti e assistenza»?
Sarà da capire, ma dovrebbe trattarsi di aiuto militare e finanziario. Per esempio, sostituire con un proprio caccia un caccia francese. Oppure aiutare il Paese aggredito finanziariamente.
• Noi italiani saremmo pronti a far la guerra?
Renzi ieri ha detto: «Mettiamo in conto tutto, ma non si vince con le sole armi. L’Italia è in tante partite però lo fa senza dichiarazioni roboanti. Noi abbiamo bisogno di un atteggiamento tipico del nostro Paese: più soft power ». Insomma, l’Italia non ha nessuna voglia di armarsi e partire. Del resto il nostro ministro degli Esteri, come abbiamo raccontato ieri, si è raccomandato di non usare la parola “guerra” e proprio in quel momento Hollande la gridava a Versailles. Gli altri però sembrano decisi. L’inglese Cameron ha parlato ai Comuni. «Credo fermamente che dobbiamo agire. Il nostro Paese è alle prese con una minaccia diretta e crescente, e dobbiamo affrontarla, non solo in Iraq ma anche in Siria». I francesi hanno bombardato intanto una seconda volta Raqqa, centrando - dicono - tutti gli obiettivi. Putin ha anche dato ordine che l’incrociatore Moskvà, già nel Mediterraneo, si metta in contatto con le unità francesi e si prepari a cooperare con la portaerei Charles De Gaulle, che sta per arrivare. L’alleanza franco-russa si direbbe cosa fatta.
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