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Corsivi e commenti
Impopulisti
Corriere della Sera
Sarà colpa dell’afa, di un calo momentaneo di concentrazione o di un siero iniettato nelle granite ministeriali all’insaputa dei No Vax, ma all’improvviso i cosiddetti populisti si sono messi a dire cose impopolarissime. Ha cominciato Salvini, il ministro in topless, sostenendo che i genitori non sanno più insegnare il senso del dovere ai propri figli, con ciò inimicandosi in un colpo solo tutti quei genitori che condividono l’opinione di Salvini a patto che venga circoscritta ai figli degli altri. Ha continuato Toninelli, lo stratega dei Trasporti, minacciando il sacrosanto ritiro della patente agli automobilisti che guidano senza staccare dal telefonino gli occhi, le mani e, a giudicare da certi messaggi, anche i piedi. Come se non bastasse, sul Ferragosto incombe il taglio delle pensioni d’oro, il cui tetto si abbassa di ora in ora, fino a lambire professionisti e burocrati che sostennero la rivolta contro i privilegiati e adesso scoprono che potrebbero farne parte pure loro.
La ricerca dell’impopolarità renderà finalmente simpatici i nuovi governanti agli editorialisti dei giornali, ma forse non a chi li ha votati. Finché si sentivano promettere meno «negher», meno tasse e più soldi per tutti, gli italiani approvavano entusiasti. Ma (escluso chi mi sta leggendo, s’intende) non sempre hanno il fisico per sentir parlare di doveri, di regole da rispettare e — non sia mai — di debiti da saldare.
Massimo Gramellini
Ferragosto
Il governo del cambiamento
ci costringe a cambiare
pure i proverbi:
«Piove, contratto ladro».
***
Divieti
il Giornale
Ci risiamo. Ci mancava solo Toninelli, con quella faccia obliqua e sinistra. La campagna moralistica continua: occorrono diktat per salvare la vita a persone adulte, naturalmente immature e incapaci di intendere e di volere: «Ritirare la patente a chi usa il cellulare». La prossima volta sarà: «Ritirare la patente a chi fa conversazione con il compagno di viaggio». «Vietato parlare». Forse Toninelli non è stato informato che, da circa vent’anni, i telefoni cellulari hanno il vivavoce: non devi quindi tenerli in mano e, nelle automobili, la voce può essere diffusa esattamente come la musica della radio. Io ho ricevuto migliaia di telefonate divertenti facendo ascoltare le conversazioni con i miei interlocutori ai compagni di viaggio. Occorrerà dirgli, se non lo ricorda, che anche una bella donna, a fianco del posto di guida, procura distrazioni. Non parliamo dei baci e di altre effusioni. Attendo un’altra minaccia: «Ritirare la patente a chi viaggia con un’amica», o se è omosessuale «con un amico». Con tutte queste limitazioni potremmo dire: «Ritirare la patente prima di darla e lasciarla soltanto a chi non guida». Toninelli è un fine psicologo; prima di lui si poteva pensare che gli uomini fossero schiavi di abitudini ataviche come bere, mangiare, prendere il sole. Oggi da lui sappiamo che l’uso dello smartphone alla guida è un «fenomeno gravissimo, perché ha a che fare con le nostre abitudini più radicate». Se non accosti «vietato fare l’amore in automobile».
Vittorio Sgarbi
Naja
il Fatto Quotidiano
Come gli orologi fermi che segnano due volte al giorno l’ora esatta, Salvini ne ha detta una giusta. Almeno secondo me. È stato quando ha proposto di ripristinare il servizio militare obbligatorio, abolito 20 anni fa da destra e sinistra. Parlo per esperienza che è, per forza di cose, la mia: a me la naja è servita parecchio, anche se l’ho capito solo dopo. Durante, mi parve una gigantesca perdita di tempo e di opportunità, specie quand’ero costretto a montare la guardia notturna a palazzi e armerie vuoti. Dopo però mi ritrovai spesso a pensare che quei 13 mesi fuori di casa, per un bamboccione che – salvo rari periodi estivi – aveva sempre vissuto in famiglia, erano stati utili. La naja è, per i vivi, come ’a livella di Totò per i morti: impone un’eguaglianza sociale destinata a rimanere un unicum. Ricchi e poveri, studenti e lavoratori e disoccupati, settentrionali e meridionali, bianchi e neri e gialli vivono nella stessa caserma, svolgono le stesse mansioni, dormono nella stessa branda, sottostanno agli stessi ordini, mangiano lo stesso rancio, si lavano sotto la stessa doccia (gelida), indossano la stessa divisa. Sì, lo so, c’erano anche le raccomandazioni e il nonnismo. Ma la mia esperienza, nonostante tutto, fu positiva. Imparai a liberarmi dal bamboccionismo, a convivere con persone che mai la vita mi avrebbe fatto incontrare, a obbedire a ordini assurdi in nome di interessi superiori incomprensibili, a riconoscere un’autorità superiore, a compiere sacrifici tanto gratuiti sul momento quanto proficui negli anni successivi, a scambiare parole, aiuti ed esperienze con ragazzi molto diversi da me.
Mi sentivo parte di una comunità infinitamente più vasta del mio piccolo mondo: vogliamo chiamarla patria, cittadinanza, popolo, nazione? Ecco. Ora non so se quell’anno dedicato agli altri sia ripetibile: pare anzi che sia incompatibile col “nuovo modello di difesa”. So però che aiuterebbe molti ragazzi a uscire da se stessi e da quei maledetti iPhone per guardare oltre il proprio naso. E mi dispiace che i miei figli ne siano esentati. Un ritorno della naja (e del servizio civile per gli allergici alle armi) ci darebbe una società un po’ meno egoista e individualista. Così l’avevano pensata i Padri Costituenti. E così la intendeva Calamandrei nel famoso discorso del 1955 sulla Costituzione: “Quando all’articolo 52 io leggo ‘L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica’, l’esercito di popolo… questo è Garibaldi!”. Infatti l’esercito di popolo, e non di mercenari, era una battaglia di sinistra. Che ora lo sia della destra più becera, la dice lunga su come ci siamo ridotti.
Marco Travaglio
Può apparire un aspetto secondario in questa confusa estate politica, ma i "no-Tav" che contestano i Cinque Stelle al governo — e in particolare il ministro Toninelli — costituiscono un dettaglio da non trascurare. In pratica il M5S viene attaccato da sinistra, per così dire, e gli viene rimproverato di essere troppo debole e irresoluto nel pronunciare un "no" definitivo all’alta velocità.In base ai loro presupposti, i "no-Tav" hanno ragione: il loro voto è andato a Di Maio e ai suoi amici nella convinzione che la Torino-Lione sarebbe stata cancellata con un tratto di penna. Per cui oggi non si spiegano le ragioni di tutti gli arabeschi dialettici che parlano di un progetto da "ridiscutere" e di nuovi pareri tecnici da acquisire. È un elettorato che se ne infischia del realismo politico e delle difficoltà del vice-premier o del ministro delle Infrastrutture. Anzi, il quasi 33 per cento che il "movimento" ha raccolto promettendo tutto a tutti, in una specie di paradiso delle corporazioni e dei gruppi di pressione, viene interpretato come la chiave di un potere immenso, la licenza di fare tutto e subito. O quasi.
Quello che accade con la Tav può ripetersi con gli altri capitoli dell’agenda Di Maio. E l’essenziale sostegno di Salvini, con il passare del tempo, rischia di somigliare alla corda che sostiene l’impiccato. Del resto, la Lega ha già pagato un prezzo salato presso il suo elettorato con il "sì" al cosiddetto Decreto Dignità, quello contro cui si scaglia il presidente della Confindustria: difficile immaginare che voglia ritrovarsi presto o tardi in una situazione analoga.
Questo spiega la bizzarra contraddizione per cui il presidente del Consiglio descrive un paese che ha ritrovato solidità e «credibilità sul piano internazionale», mentre un paio di giorni dopo il sottosegretario Giorgetti, una persona che non parla a caso, descrive un quadro un po’ diverso: ingenti capitali che corrono all’estero e rischi di attacchi speculativi.Difficile non vedere una crescente divaricazione fra l’ottimismo di maniera dei Cinque Stelle e il ruvido pragmatismo della Lega. Il primo è confermato anche dall’intervista di Di Maio al Corriere della Sera ed è funzionale al desiderio di far durare la maggioranza e il governo il più a lungo possibile: per cui anche le tensioni sui mercati vanno circoscritte (a parole) ed esorcizzate con la formula "non ci faremo ricattare" (benché non sia chiaro cosa voglia dire in concreto). Il secondo, ossia l’atteggiamento della Lega, mette in conto una crisi improvvisa provocata dai mercati. Non è vero che i leghisti la auspicano — secondo una certa vulgata — perché sarebbero i loro elettori a subirne i danni maggiori. Ma è vero che già oggi essi si pongono il problema di come gestirla sul piano politico, nell’ipotesi che sia inevitabile.
Sul piano finanziario, cioè dei conti pubblici, il sentiero è stretto e serve un alto livello di serietà e di buon senso per evitare errori fatali. Servirebbe anche un certo spirito di iniziativa, come quello di cui ha dato prova Paolo Savona andando a parlare con il presidente della Bce. Ci sono pochi dubbi, peraltro, che una crisi devastante dello "spread" avrebbe come inevitabile conseguenza politica quella di delegittimare il duopolio Salvini-Di Maio. Con effetti imprevedibili visto che si tratta di due partiti che oggi, secondo i sondaggi, raccolgono tra il 55 e il 60 per cento dei consensi. Per cui da una frattura distruttiva non si uscirebbe con un esecutivo tecnico, ma quasi certamente con nuove elezioni in un clima drammatico.
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