Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il quorum è stato raggiunto, i sì hanno vinto con percentuali bulgare, è escluso che l’Italia possa in futuro dotarsi di impianti nucleari o che possa cedere a privati la gestione di acquedotti e rubinetti o che sia consentito al presidente del Consiglio e ai suoi ministri di opporre a un tribunale la norma – abrogata per sempre – del cosiddetto “legittimo impedimento”. Erano 16 anni che un referendum non raccoglieva un numero di voti sufficiente a far scattare l’abrogazione, come si sa ormai universalmente il 50% + 1 degli aventi diritto.
Prima di tutto completiamo il quadro con le
cifre.
Ha votato il 57 per cento degli aventi diritti,
percentuale che diminuisce di qualche decimo di punto se si considera il voto
degli italiani all’estero. Il voto degli italiani all’estero, qualunque sia la
sentenza della Cassazione, non può comunque in nessun caso modificare i
risultati. In tutte e quattro le consultazioni i “sì” hanno ottenuto il 95% dei
voti. Il maggior numero di “sì” è andato al secondo quesito sull’acqua, quello
relativo ai profitti (96,2%). Il minor numero di “sì” al referendum
sull’energia nucleare (94,6). Affluenza più alta al Nord che al Sud, dettaglio
che può indurre qualche ulteriore riflessione nella Lega, anche se,
storicamente, è sempre stato così.
Come mai stavolta s’è raggiunto il quorum? Il
referendum sembrava un attrezzo democratico completamente fuori moda.
Due ragioni, secondo me. Primo, la tragedia di
Fukushima che ha fatto sentire a molti come indispensabile una presa di
posizione contraria all’energia nucleare. È quello che Feltri, in televisione,
ha semplicemente chiamato «la paura«. È il referendum che ha generato il
maggior rammarico, almeno apparentemente, nel premier: «Il popolo sta decidendo
che dovremo rinunciare a questo tipo di enertgia» ha detto ieri mattina a urne
ancora aperte (il premier ha rilasciato dichiarazioni assai sobrie: «Prendiamo
atto… la volontà del popolo…»). Seconda ragione: il desiderio forte in una parte
dell’elettorato molto cospicua di mandare a Berlusconi (e probabilmente anche a
Bossi) un messaggio preciso: la tua stagione è finita, per favore togliti di
mezzo.
I politici di centro-destra negano che al
referendum si possa dare un’interpretazione politica. Per lo men
un’interpretazone politica capace di provocare una caduta del governo o
addirittura nuove elezioni.
Mica tutti. Polverini e Alemanno sono andati a
votare, e l’hanno fatto in modo eclatante, in modo che si sapesse. Stessa cosa
Zaia, e stessa cosa Maroni, che ha ritirato le schede sull’acqua votando due
sì. Sono segni di una lacerazione profonda all’interno del centro-destra. A
voto acquisito Alemanno ha rilasciato questa dichiarazione: «Il centrodestra non può in alcun modo minimizzare questo
risultato e deve trarne conseguenze dal punto di vista della propria rotta
politica e da quello dei propri contenuti programmatici». Calderoli era stato
anche più dur «Alle amministrative due settimane fa abbiamo preso la prima
sberla, ora con il referendum è arrivata la seconda sberla e non vorrei che
quella di prendere sberle diventasse un’abitudine. Per questo domenica andremo
a Pontida per dire quello che Berlusconi dovrà portare in aula il 22 giugno,
visto che vorremmo evitare che, in quanto a sberle, si concretizzi il proverbio
per cui non c’è il due senza il tre...». Questa dichiarazione rende la festa
leghista di Pontida un passaggio cruciale: Bossi dovrà evitare fischi e
contestazioni e sarà costretto a chiedere magari la luna per rimontare la
corrente. Di sicur l’abbassamento delle tasse, i ministeri a Milano e molto
probabilmente la fine delle missioni all’estero per risparmiare soldi e per
tentare di arginare l’emigrazione libica. Veramente la Lega si aspetta che
Berlusconi, alla Camera il 22, sia in grado di far promesse tanto impegnative?
La fine della guerra di Libia non compete al governo italiano. L’aria è che la
Lega voglia andare a votare. Maroni l’ha detto esplicitamente ieri in
un’intervista al “Corriere”: o c’è la svolta o ci sono le urne. La svolta, con
una maggioranza imperniata sui cosiddetti responsabili, non è semplice.
Il centro-sinistra?
Bersani ha chiesto le
dimissioni del governo. Bella la definizione del vot «È stato un altro
referendum sul divorzio, sul divorzio tra il governo e il paese». Di Pietro ha
scelto una linea molto moderata: «Come ho detto prima del voto, i referendum
non erano su Berlusconi. Non vanno adoperati adesso per far cadere il governo».
Fini, Casini e Rutelli hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, in nome
del Terzo Polo. Chiedono anche loro che Berlusconi se ne vada.
Può il premier, dopo
l’abrogazione popolare del legittimo impedimento, pretendere altre leggi che
limitino le azioni dei giudici contro di lui?
Prima del voto s’era
sentita la chiacchiera per cui il Cav vorrebbe adesso far approvare di corsa
dal Senato il “processo breve”. Ho l’impressione che sarà difficile. Non glielo
permetterà la Lega e molto probabilmente Napolitano, con quel 95% di sì,
avrebbe in mano una ragione forte per non firmare. [Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 14 giugno 2011]
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