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I corsivi di venerdì
Massoni
il Giornale
Non avendo problemi, in Sicilia, se li creano. Non bastassero la mafia e l’antimafia, la disoccupazione e lo sconvolgimento del paesaggio, gli sfaccendati parlamentari dell’Assemblea regionale si trastullano con disegni di legge come quello che impone l’obbligo di dichiarare l’affiliazione dei deputati e degli assessori regionali a logge massoniche e similari. Il proponente è Claudio Fava, che si compiace di sovrapporre associazione a delinquere con le libertà di associazione religiosa, culturale, politica previste dall’articolo 18 della Carta Costituzionale. Un simile arbitrio era stato tentato nelle Marche e prontamente dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato. Infatti la norma discrimina l’appartenenza alla Massoneria da ogni altra per cui non è richiesta alcuna declaratoria. Le leggi speciali odorano di stato di polizia e di dittatura. E umiliano un’appartenenza come se essa stessa fosse un crimine. Il crimine presuppone una responsabilità individuale. La massoneria ha una storia gloriosa che non può essere infangata dai disturbi persecutori di un Fava, seguito da parlamentari distratti e opportunisti, privi di rispetto per la storia e per la libertà di idee, senza nulla fare di penalmente rilevante. Essere massoni non significa essere criminali. Gli iscritti al Grande Oriente d’Italia, anche per statuto interno, devono avere i medesimi obblighi di rispetto delle leggi dello Stato, con la «dovuta obbedienza e la scrupolosa osservanza alla Costituzione dello Stato democratico e alle Leggi che ad essa s’ispirino». La vera colpa è ignorarlo.
Non avendo problemi, in Sicilia, se li creano. Non bastassero la mafia e l’antimafia, la disoccupazione e lo sconvolgimento del paesaggio, gli sfaccendati parlamentari dell’Assemblea regionale si trastullano con disegni di legge come quello che impone l’obbligo di dichiarare l’affiliazione dei deputati e degli assessori regionali a logge massoniche e similari. Il proponente è Claudio Fava, che si compiace di sovrapporre associazione a delinquere con le libertà di associazione religiosa, culturale, politica previste dall’articolo 18 della Carta Costituzionale. Un simile arbitrio era stato tentato nelle Marche e prontamente dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato. Infatti la norma discrimina l’appartenenza alla Massoneria da ogni altra per cui non è richiesta alcuna declaratoria. Le leggi speciali odorano di stato di polizia e di dittatura. E umiliano un’appartenenza come se essa stessa fosse un crimine. Il crimine presuppone una responsabilità individuale. La massoneria ha una storia gloriosa che non può essere infangata dai disturbi persecutori di un Fava, seguito da parlamentari distratti e opportunisti, privi di rispetto per la storia e per la libertà di idee, senza nulla fare di penalmente rilevante. Essere massoni non significa essere criminali. Gli iscritti al Grande Oriente d’Italia, anche per statuto interno, devono avere i medesimi obblighi di rispetto delle leggi dello Stato, con la «dovuta obbedienza e la scrupolosa osservanza alla Costituzione dello Stato democratico e alle Leggi che ad essa s’ispirino». La vera colpa è ignorarlo.
Vittorio Sgarbi
Frankenstein
La Stampa
Duecento anni dopo
un’altra creatura
è stata creata in laboratorio:
il governo giallo-verde.
Jena
Marcinelle
Corriere della Sera
Nel novero, ormai grottesco ed estenuante, delle parole in libertà buttate là dai politici, si aggiunge il pensierino del ministro del Lavoro Luigi Di Maio a proposito della catastrofe di Marcinelle dell’8 agosto 1956. Tra le «riflessioni» che azzarda il vice presidente del Consiglio c’è questa: la tragedia di Marcinelle «insegna che non bisogna partire». Lega e Fratelli d’Italia si sono ben guardati dal commentare questa frase infelice. In compenso hanno urlato all’«offesa» dopo la dichiarazione del ministro degli Esteri Enzo Moavero, che ha ragionevolmente invitato a non dimenticare l’emigrazione dei nostri padri e dei nostri nonni in un’epoca in cui si producono tante tragedie di migrazione. In pratica segnalando un’affinità tra la miseria italiana di ieri e la miseria che costringe molte popolazioni, in questi anni, a partire all’estero rischiando la vita. E non si vede proprio dove sia l’«offesa»: a meno che non si ritenga che i nostri morti abbiamo più valore e più dignità dei morti altrui. È grave, semmai, fare della memoria un esercizio puramente celebrativo, inerte e autoconsolatorio. Ed è, piuttosto, offensivo (senza virgolette) per i 136 morti italiani di Marcinelle, partiti in Belgio in cambio di carbone, esattamente come per i migranti morti oggi in Italia e in Europa, liquidarli con una puerile tautologia: non bisognava e non bisogna partire. Quasi che non sia proprio il «bisogno» ad averli spinti a partire e che allora, come oggi, si trattasse di scegliere. Ministro Di Maio, provi a dirlo alle vedove, agli orfani e ai sopravvissuti di Marcinelle che dal 1946 sono saliti sui treni per Charleroi per andare ad abitare nelle baracche degli ex prigionieri di guerra. Non si è mai trattato di scegliere: le migrazioni per povertà (e tanto più per le guerre o per le persecuzioni) si sottraggono al facile auspicio del «non bisogna», sono una condanna che nessuno vorrebbe mai vivere, uno sradicamento che procura sofferenza e talvolta morte. Tragedie su cui bisognerebbe (anzi, assolutamente bisogna) calibrare le parole evitando di affidarsi al primo pensierino che le banalizza e perciò, appunto, le offende.
Frankenstein
La Stampa
Duecento anni dopo
un’altra creatura
è stata creata in laboratorio:
il governo giallo-verde.
Jena
Marcinelle
Corriere della Sera
Nel novero, ormai grottesco ed estenuante, delle parole in libertà buttate là dai politici, si aggiunge il pensierino del ministro del Lavoro Luigi Di Maio a proposito della catastrofe di Marcinelle dell’8 agosto 1956. Tra le «riflessioni» che azzarda il vice presidente del Consiglio c’è questa: la tragedia di Marcinelle «insegna che non bisogna partire». Lega e Fratelli d’Italia si sono ben guardati dal commentare questa frase infelice. In compenso hanno urlato all’«offesa» dopo la dichiarazione del ministro degli Esteri Enzo Moavero, che ha ragionevolmente invitato a non dimenticare l’emigrazione dei nostri padri e dei nostri nonni in un’epoca in cui si producono tante tragedie di migrazione. In pratica segnalando un’affinità tra la miseria italiana di ieri e la miseria che costringe molte popolazioni, in questi anni, a partire all’estero rischiando la vita. E non si vede proprio dove sia l’«offesa»: a meno che non si ritenga che i nostri morti abbiamo più valore e più dignità dei morti altrui. È grave, semmai, fare della memoria un esercizio puramente celebrativo, inerte e autoconsolatorio. Ed è, piuttosto, offensivo (senza virgolette) per i 136 morti italiani di Marcinelle, partiti in Belgio in cambio di carbone, esattamente come per i migranti morti oggi in Italia e in Europa, liquidarli con una puerile tautologia: non bisognava e non bisogna partire. Quasi che non sia proprio il «bisogno» ad averli spinti a partire e che allora, come oggi, si trattasse di scegliere. Ministro Di Maio, provi a dirlo alle vedove, agli orfani e ai sopravvissuti di Marcinelle che dal 1946 sono saliti sui treni per Charleroi per andare ad abitare nelle baracche degli ex prigionieri di guerra. Non si è mai trattato di scegliere: le migrazioni per povertà (e tanto più per le guerre o per le persecuzioni) si sottraggono al facile auspicio del «non bisogna», sono una condanna che nessuno vorrebbe mai vivere, uno sradicamento che procura sofferenza e talvolta morte. Tragedie su cui bisognerebbe (anzi, assolutamente bisogna) calibrare le parole evitando di affidarsi al primo pensierino che le banalizza e perciò, appunto, le offende.
Paolo Di Stefano
Marte
Marte
Il Foglio
Su Marte è in attività da un tempo immemorabile un dipartimento dedicato alla ricerca sulla possibilità che ci fosse vita sulla terra. Ha avuto attorno al XVII secolo terrestre d.C. una sua epoca d’oro, studiosi di gran prestigio, scoperte emozionanti, e i giovani marziani più brillanti facevano a gara per esservi assunti. Poi, piano piano, è subentrata un’abitudine sempre più vicina alla rassegnazione e comunque alla noia. Ridotto il numero dei ricercatori, ancora più ridotta la qualità dell’attenzione, quasi tutto delegato alle registrazioni degli strumenti e alla loro archiviazione. Salvo che i marziani vi riparino in folla per le tempeste di sabbia, succede che in certe notti (la durata del giorno su Marte è quasi uguale a quella della terra) nei vasti locali del dipartimento resti un solo addetto, e a volte anche lui timbra e se ne torna fuori a farsi i fatti suoi.
Come per tutte le grandi interrogazioni sull’universo, il problema alla fine è la mancanza o la pigrizia di chi dovrebbe leggere e confrontare il magazzino delle registrazioni. Nella notte marziana dell’8 agosto 2018 gli strumenti hanno registrato dall’Italia solo una notizia che diceva: “Ma a fine serata arriva anche il commento di Luigi Di Maio, con una frase destinata a far discutere: ‘Io penso che queste tragedie storiche devono farci riflettere. La tragedia di Marcinelle ci deve ricordare che non bisogna emigrare’.” L’addetto, una giovane marziana precaria, per vocazione violinista, ha annotato: “Forse non c’è vita sulla terra. Se c’è, non vale la pena”. Poi ha spento ed è uscita con passo leggero nella notte gelida e stellata.
Su Marte è in attività da un tempo immemorabile un dipartimento dedicato alla ricerca sulla possibilità che ci fosse vita sulla terra. Ha avuto attorno al XVII secolo terrestre d.C. una sua epoca d’oro, studiosi di gran prestigio, scoperte emozionanti, e i giovani marziani più brillanti facevano a gara per esservi assunti. Poi, piano piano, è subentrata un’abitudine sempre più vicina alla rassegnazione e comunque alla noia. Ridotto il numero dei ricercatori, ancora più ridotta la qualità dell’attenzione, quasi tutto delegato alle registrazioni degli strumenti e alla loro archiviazione. Salvo che i marziani vi riparino in folla per le tempeste di sabbia, succede che in certe notti (la durata del giorno su Marte è quasi uguale a quella della terra) nei vasti locali del dipartimento resti un solo addetto, e a volte anche lui timbra e se ne torna fuori a farsi i fatti suoi.
Come per tutte le grandi interrogazioni sull’universo, il problema alla fine è la mancanza o la pigrizia di chi dovrebbe leggere e confrontare il magazzino delle registrazioni. Nella notte marziana dell’8 agosto 2018 gli strumenti hanno registrato dall’Italia solo una notizia che diceva: “Ma a fine serata arriva anche il commento di Luigi Di Maio, con una frase destinata a far discutere: ‘Io penso che queste tragedie storiche devono farci riflettere. La tragedia di Marcinelle ci deve ricordare che non bisogna emigrare’.” L’addetto, una giovane marziana precaria, per vocazione violinista, ha annotato: “Forse non c’è vita sulla terra. Se c’è, non vale la pena”. Poi ha spento ed è uscita con passo leggero nella notte gelida e stellata.
Adriano Sofri
Nomine
Nomine
ItaliaOggi
Il centrosinistra è sgomento perché la maggioranza pentaleghista, dopo aver vinto le elezioni, non mantiene al suo posto, come se niente fosse successo, l’alta dirigenza di centrosinistra (spesso, a suo modo, anche competente, non c’è dubbio) e si ostina invece a voler mettere nei gangli del potere dei dirigenti (sinora altrettanto preparati, pare) vicini alle sue posizioni politiche. Il ministro pd che, fiutando il peggio, tre mesi prima delle elezioni, aveva riconfermato in blocco il suo cda delle Fs, è indignato perché questo sia stato sostituito. Non si vuol rendere conto (lui e gli altri) che al governo non c’è Berlusconi che, per quieto vivere, confermava nel loro posto i suoi avversari. Basti pensare alla solenne conferma ai Beni culturali di Salvatore Settis, uno che, al solo sentire il nome di Forza Italia, diventava idrofobo. L’anomalia, su queste scelte, era di Berlusconi o della maggioranza pentaleghista?
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Il centrosinistra è sgomento perché la maggioranza pentaleghista, dopo aver vinto le elezioni, non mantiene al suo posto, come se niente fosse successo, l’alta dirigenza di centrosinistra (spesso, a suo modo, anche competente, non c’è dubbio) e si ostina invece a voler mettere nei gangli del potere dei dirigenti (sinora altrettanto preparati, pare) vicini alle sue posizioni politiche. Il ministro pd che, fiutando il peggio, tre mesi prima delle elezioni, aveva riconfermato in blocco il suo cda delle Fs, è indignato perché questo sia stato sostituito. Non si vuol rendere conto (lui e gli altri) che al governo non c’è Berlusconi che, per quieto vivere, confermava nel loro posto i suoi avversari. Basti pensare alla solenne conferma ai Beni culturali di Salvatore Settis, uno che, al solo sentire il nome di Forza Italia, diventava idrofobo. L’anomalia, su queste scelte, era di Berlusconi o della maggioranza pentaleghista?
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