Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Si sarebbe permesso il premier Letta – diciamo una decina di giorni fa – di pronunciare le parole che ha pronunciato ieri davanti a Maria Latella? E cioè: il ventennio berlusconiano è finito, eccetera.
• Ma dieci giorni fa non era ancora successo quello che è successo.
Capisca lo spirito della domanda. Ieri Enrico Letta, intervistato da Maria Latella sui noti fatti, ha risposto: «Mercoledì scorso si è chiuso un ventennio con un confronto politico molto forte. È una pagina voltata in modo definitivo. Io spingo perché ciò sia chiaro a tutti e non si torni indietro. Berlusconi ha cercato di far cadere il governo e non ci è riuscito perché il Parlamento, in sintonia con il Paese, ha voluto che si continuasse. Ho corso il rischio perché non ho accettato mediazioni. Alfano ha assunto una leadership molto forte e molto marcata, è stato sfidato e ha vinto la partita. Mi fido molto dei cinque ministri del Pdl, che hanno dimostrato saggezza». La Latella gli ha chiesto il senso vero di quel “Grande!” pronunciato quando Berlusconi ha annunciato che avrebbe votato la fiducia. Letta ha risposto: «Era un “Grande!” ironico, tutto mi sarei aspettato tranne quella giravolta». Ora, lei capisce che qui c’è qualcosa di più che un giudizio storico o politico: Letta ha proclamato al mondo che Berlusconi è talmente debole da non contare quasi più niente. La leadership, secondo lui, è di Alfano. Vuole la controprova? Il caso Biancofiore.
• Di che si tratta?
Michela Biancofiore, una bella ragazza bionda e pidiellina, era sottosegretario alla Semplificazione e allo Sport, aveva un tempo anche le deleghe per le Pari opportunità ma Letta gliele aveva tolte dopo 48 ore per via della sua accusa ai gay di «autoghettizzarsi». Nell’ultima vicenda è stata sempre vicinissima al Cavaliere (cioè, è un falco), e aveva rassegnato, come i suoi colleghi, le dimissioni. Con questa differenza: che le sue, di dimissioni, Letta le ha accettate! Ieri alla Latella il premier ha spiegato che gli altri ministri avevano poi ritirato le loro dimissioni, mentre la Biancofiore no. E quindi...
• Via, quando mai la politica è stata così rigida? Non siamo mica in Prussia, si sa che le dimissioni vengono date sempre col sottinteso che saranno respinte...
Infatti Biancofiore se l’è presa moltissimo, chiede ad Alfano di intervenire «affinché renda noto se si tratta di un’epurazione frutto di una precisa scelta politica o di mobbing». Premesso che il rapporto tra premier, ministri e sottosegretari non può essere assimilato a quello che intercorre tra capufficio e segretaria, e quindi non può esservi questione di mobbing, è evidente che l’accettazione delle dimissioni è una scelta politica. E anche pesante: al posto della Biancofiore andrà una personalità del Pdl, ma alfaniana. Esistono ormai gli alfaniani, ed è anche chiaro che i governisti del Pd (capeggiati ovviamente da Letta) spingono perché l’alleato-avversario si spacchi oppure perché Alfano si prenda tutto il piatto.
• Queste uscite non mettono in difficoltà lo stesso Alfano?
Certo, e infatti il segretario ha subito rilasciato una dichiarazione per prendere formalmente la distanze dalle parole del premier: «Non accettiamo e non accetteremo ingerenze nel libero confronto del nostro movimento politico. E questo vale anche per il presidente del Consiglio e per il segretario del Partito democratico. Dentro questo governo noi stiamo per difendere le nostre idee e i nostri programmi in primo luogo su tasse e giustizia e difendiamo così tutti i cittadini. E se una collaborazione c’è oggi è perché nessuno ha vinto pienamente le elezioni e Silvio Berlusconi ha intuito per primo l’importanza di una grande coalizione». Attacchi a Letta, con l’accusa di ingerenze, sono arrivati anche da altri esponenti del Pdl. Non solo dai falchi, ha criticato il premier, per esempio, anche la Gelmini.
• Cosa intendono fare, quelli del centrodestra, per risolvere in modo definitivo le loro beghe?
Raffaele Fitto ha detto che ci vuole l’azzeramento delle cariche e il congresso. I falchi, in un modo o nell’altro, gli hanno dato subito ragione. Ed è chiaro perché: sarebbe questa la via maestra per far fuori Alfano, essendo chiaro che il Cavaliere, il quale lo ha nominato, non ha la forza e neanche la voglia di rimuoverlo. Alfano, non più semplice maggiordomo, ha posto condizioni capestro per non andarsene con Cicchitto a fare un altro gruppo parlamentare: vuole il controllo, alle prossime elezioni, sul 50% delle liste di centrodestra, fuori dai piedi i falchi, via Sallusti dalla direzione del Giornale. Solo che lui queste cose non le vuole ottenere dal congresso, ma da Berlusconi, secondo la vecchia procedura padronale. Con quest’unica novità: che anche il padrone dovrà togliersi di mezzo e accontentarsi di essere adorato in effigie.
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