Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il consiglio dei ministri ha rinviato ogni decisione sui famosi 40 miliardi con cui si comincerebbero a saldare le imprese, in attesa dei soldi della pubblica amministrazione anche da 500 giorni. Il rinvio ha scatenato ogni sorta di accuse contro Monti da parte soprattutto dei grillini e dei pidiellini, indignati che si stia perdendo l’occasione di immettere un po’ di liquidità nel sistema, quindi du far ripartire la domanda e di conseguenza la produttività. Da ultimo ha fatto gridare l’opposizione il fatto che per trovare i 40 miliardi il governo avesse pensato a un inasprimento fiscale: cioè i soldi con cui saldare le imprese sarebbero stati tolti dalle tasche dei cittadini, svilendo la domanda su un lato mentre si sperava di rinvigorirla dall’altro.
• Che inasprimento fiscale?
L’anno prossimo le Regioni potranno applicare all’Irpef un’addizionale più alta. Si era pensato di anticipare al 2013 questa addizionale. Un’idea grottesca, ma non l’unica che ha fatto slittare il consiglio (pare a lunedì prossimo). Intanto l’incartamento è arrivato sul tavolo del ministro Passera all’ultimo momento, il ministro non ha avuto il tempo di esaminarlo quel minimo, s’è abbastanza irritato e, insomma, ha favorito il rinvio. C’era poi il dettaglio che per rendere operativo il decreto che stanziava i 40 miliardi ci sarebbe stato bisogno di una decina di decreti attuativi…
• Che cosa sono?
Lei fissa per decreto legge di restituire 40 miliardi alle aziende, poi bisogna stabilire in che modo questa restituzione andrà fatta. Ecco qui i decreti attuativi. Su pressione anche dei cinquestelle non si voleva che una quota importante dei 40 miliardi finisse alle banche, a saldo degli anticipi che le banche hanno concesso sulla base dei crediti aziendali verso la pubblica amministrazione. Nello stesso tempo, non bisogna nemmeno far passare il principio che le banche non hanno diritto o hanno meno diritto alla restituzione dei loro soldi, perché questo scoraggerebbe il credito in modo forse definitivo. Inoltre i tre fondi che avrebbero anticipato i soldi a comuni, province e regioni avevano messo come condizione che gli enti locali per tre anni non aumentassero gli investimenti e congelassero le spese correnti. Visto il guazzabuglio, s’è preferito soprassedere.
• Di che cifre stiamo parlando?
Il totale del debito contratto dallo Stato verso i suoi fornitori, e non saldato, assomma a 91 miliardi, numero che ci è stato fornito qualche giorno fa dalla Banca d’Italia, dunque piuttosto indiscutibile. L’esposizione dello Stato ha cominciato ad accumularsi addirittura nel 2003 (primo grado d’allarme della Confindustria) e cresce adesso alla velocità di 557.300 euro all’ora, 9.288 al minuto, 155 al secondo. Dei 91 miliardi, la metà riguarda la Sanità. Le banche hanno scontato appena il 12,1% dei crediti aziendali, per un totale di 11 miliardi. Sono numeri peggiori di quelli greci e di quelli ciprioti. Non parliamo del confronto con i paesi nordici o con la Francia. Il nostro ritardo medio (e sottolineo: “medio”) è di 180 giorni, la Germania paga in 36, il Regno Unito in 43, la Francia in 65, Cipro in 83, il Portogallo in 139, la Spagna in 160, la Grecia in 174. Il ritardo medio europeo è di 76 giorni, un numero poco lodevole che si raggiunge grazie al nostro contributo determinante.
• Come siamo arrivati a questo punto?
Uno spaventoso cumulo di inefficienze. Spendiamo oltre tutto 90 miliardi di interessi passivi. La giustizia civile ha tempi biblici e nessun creditore può seriamente contare sulla magistratura per rientrare del dovuto. Le prossime settimane sono inoltre abbastanza preoccupanti: in aprile dovremo chiedere 47 miliardi ai mercati (la Spagna 23), poi tra giugno e luglio sarà una gragnuola di stangate: aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento, acconto Irpef, prima rata Imu. Meno male che il governo ha slittato a dicembre il pagamento dei 30 centesimi che sono stati aggiunti alla Tares.
• Se ci fosse un governo sostenuto dalla fiducia del Parlamento andremmo meglio?
Certo. Abbiamo bisogno di allentare i vincoli del patto di stabilità, che tra l’altro impediscono ai comuni di spendere i soldi che hanno. Si tratta di una dozzina di miliardi congelati che potrebbero essere adoperati per saldare le imprese. La Ue ci ha già chiesto lumi sui 40 miliardi che comunque il governo stanzierà a loro favore: non è che a causa loro sforeremo il rapporto del 3% tra deficit e Pil? Il ministro Grilli ieri ha informato i cronisti che il rapporto deficit/pil sarà al 2,9: dunque, su questo lato, tutto a posto. Qualcuno ha ricordato che Francia e Germania, tra il 2004 e il 2005, erano anche loro fuori da ogni parametro e, a parte una blanda ammonizione, non gli successe niente. È facile rispondere a questa obiezione: la crisi ancora non c’era, l’Unione si lasciava serenamente prendere in giro anche dalla Grecia che truccava i conti platealmente. E inoltre Germania e Francia erano già allora le prime della classe e come si fa a mandare dietro la lavagna il primo della classe?
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