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I corsivi di oggi
Pensioni
Corriere della Sera
Nell’attesa di scoprire il fascista che è in noi attraverso discutibili test, forse oggi è più importante difendere quel minimo di veridicità storica che ancora fa la differenza nell’era della post-verità: Mussolini non ha introdotto in Italia le pensioni. Eppure ai leghisti piace raccontare questa bufala. Così Matteo Salvini a Radio Capital: «Che durante il periodo del fascismo si siano fatte tante cose e si sia introdotto ad esempio il sistema delle pensioni è una evidenza». Così, giorni fa, Barbara Saltamartini a Rai Radio1: «Di Benito Mussolini sono più le cose positive. Fino a che Mussolini non ha fatto alcune scelte drammatiche, credo che ci siano state cose molto positive, alcune delle quali ancora restano. L’Inps per esempio... Il mio giudizio è positivo, fino ad un certo punto». Fino a un certo punto. Diciamo fino alle leggi razziali, tanto per avere un punto di riferimento. Basta andare sul sito dell’Inps per scoprire che la previdenza sociale nasce in Italia nel 1898 con la fondazione della «Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai», un’assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori. La pensione sociale viene introdotta solo nel 1969, quando Mussolini è morto da 24 anni. Inseguiva altre passioni, non pensioni.
Aldo Grasso
Superlega
la Repubblica
Sarebbe interessante sapere qualcosa di più, magari dai diretti interessati, del misterioso progetto di una "Superlega" del calcio europeo per soli ricchi, che renderebbe esplicito ciò che adesso è solo implicito, e cioè che una dozzina di club sono più danarosi, più potenti, più influenti delle centinaia di squadre "normali" che rimarrebbero escluse dal progetto: per loro le briciole, per i superclub quasi tutta la torta dei diritti televisivi. Non è chiaro se nella trama degli Happy Few (per ora sventata, pare, da ciò che rimane delle istituzioni calcistiche europee) sarebbe previsto anche un meccanismo di promozione e di retrocessione, insomma un minimo di scala sociale: oppure se, come nell’Ancien Régime, si è imparruccati per diritto di sangue. Certo fa specie, e un poco fa anche incazzare, l’idea che anche nello sport il principio del merito (principio fondante dell’agonismo) possa essere cassato con tanta disinvoltura, così che i tifosi del Leicester o della Fiorentina o del Siviglia o del Galatasaray se lo scordino per sempre, di partecipare alla stessa gara del Real Madrid o della Juventus. Chiunque abbia avuto l’idea, se vivessimo in un mondo ancora munito di decenza, dovrebbe dunque indire una conferenza stampa e spiegare meglio le sue intenzioni. Rassicurare i più deboli, quelli con le casse vuote, promettergli che almeno formalmente, in termini di regolamento, avranno sempre le stesse chances, proprio come è nello spirito della democrazia. Ve la ricordate, no, la democrazia?
Michele Serra
Cravattari
Il Fatto Quotidiano
Se c’è una cosa strana e un po’ straniante dell’Unione europea, detta bizzarramente Europa, è l’abissale distanza che corre tra narrazione e realtà, tra il sogno dei popoli fratelli e la concreta lotta economica e commerciale in un ring di cui la normativa comunitaria costituisce le corde. Un paio di giorni fa, per dire, il quotidiano olandese De Volkskrant ha rivelato una proposta di riforma del Mes, il Fondo salva Stati, della cosiddetta “nuova lega anseatica” (Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lituania, Lettonia, Svezia, Olanda, Slovacchia e Repubblica Ceca) che è “un duro avvertimento all’Italia”, pratica, com’è noto, in uso fra i cravattari. In sostanza, se uno Stato chiedesse aiuto al Mes, prima di ottenerlo – peraltro sottomettendosi poi alle richieste dei creditori – bisognerebbe infliggere perdite ai privati. “Gli investitori in titoli di Stato italiani potrebbero perdere i loro soldi”, dice il giornale: insomma, un invito ai mercati a evitare i Btp innescando una crisi dello spread e costringendo l’Italia a ricorrere proprio al Mes. Ora si potrebbe riflettere sul concetto di fratellanza, ma è più pertinente un’altra annotazione. Tutta questa faccenda nasce da uno sforamento di pochi decimali di deficit e, curiosamente, l’Italia ha già registrato nel proprio debito pubblico oltre 3 punti di Pil di contributi proprio ai vari fondi salva Stati (e sull’uso che se n’è fatto in Grecia, Portogallo, eccetera, meglio sopravvolare). Una proposta: ma se ci sono problemi di conti, perché non facciamo che usiamo quei soldi già a bilancio e non se ne parla più?
Marco Palombi
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