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 2018  gennaio 28 Domenica calendario

In Italia

Il Presidente della Repubblica è Sergio Mattarella
Il Presidente del Senato è Pietro Grasso
Il Presidente della Camera è Laura Boldrini
Il Presidente del Consiglio è Paolo Gentiloni
Il Ministro dell’ Interno è Marco Minniti
Il Ministro degli Affari Esteri è Angelino Alfano
Il Ministro della Giustizia è Andrea Orlando
Il Ministro dell’ Economia e delle Finanze è Pier Carlo Padoan
Il Ministro di Istruzione, università e ricerca è Valeria Fedeli
Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è Giuliano Poletti
Il Ministro della Difesa è Roberta Pinotti
Il Ministro dello Sviluppo economico è Carlo Calenda
Il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali è Maurizio Martina
Il Ministro di Infrastrutture e trasporti è Graziano Delrio
Il Ministro della Salute è Beatrice Lorenzin
Il Ministro di Beni e attività culturali e turismo è Dario Franceschini
Il Ministro dell’ Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare è Gian Luca Galletti
Il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione è Marianna Madia (senza portafoglio)
Il Ministro dei Rapporti con il Parlamento è Anna Finocchiaro (senza portafoglio)
Il Ministro dello Sport è Luca Lotti (senza portafoglio)
Il Ministro della Coesione territoriale e Mezzogiorno è Claudio De Vincenti (senza portafoglio)
Il Governatore della Banca d’Italia è Ignazio Visco
Il Presidente di Fca è John Elkann
L’ Amministratore delegato di Fca è Sergio Marchionne

Nel mondo

Il Papa è Francesco I
Il Presidente degli Stati Uniti d’America è Donald Trump
Il Presidente del Federal Reserve System è Janet Yellen
Il Presidente della BCE è Mario Draghi
Il Presidente della Federazione russa è Vladimir Putin
Il Presidente del Governo della Federazione russa è Dmitrij Medvedev
Il Presidente della Repubblica Popolare Cinese è Xi Jinping
La Regina del Regno Unito è Elisabetta II
Il Premier del Regno Unito è Theresa May
La Cancelliera Federale di Germania è Angela Merkel
Il Presidente della Repubblica francese è Emmanuel Macron
Il Primo Ministro della Repubblica francese è Édouard Philippe
Il Re di Spagna è Felipe VI di Borbone
Il Presidente del Governo di Spagna è Mariano Rajoy Brey
Il Presidente dell’ Egitto è Abd al-Fattah al-Sisi
Il Primo Ministro di Israele è Benjamin Netanyahu
Il Presidente della Repubblica Turca è Recep Tayyip Erdogan
Il Presidente della Repubblica Indiana è Ram Nath Kovind
Il Primo Ministro della Repubblica Indiana è Damodardas Narendra Modi
La Guida Suprema dell’ Iran è Ali Khamenei
Il Presidente dell’ Iran è Hassan Rohani

Renzi e le liste impossibili per le elezioni

I democratici si sono accapigliati tutto il giorno e quasi tutta la notte per decidere le liste, con le scene che si vedono di solito in questi casi: cronisti esausti in mezzo alla strada che s’accontentano di interviste volanti in cui i politici non dicono in realtà niente, incertezza generale, la direzione convocata e rinviata varie volte (almeno tre), prima alle dieci di mattina, da ultimo alle due di notte...  

Per «liste» si intende quell’elenco di nomi che ci troveremo davanti quando andramo a votare e tra cui dovremo scegliere quelli da mandare in parlamento, vero?
Vero. Anche tecnicamente questa volta la stesura delle liste presenta forse qualche complicazione in più rispetto al passato. Una quota più ristretta di eletti sarà eletta col sistema maggioritario (passa chi ha preso più voti). Un’altra quota, più larga, sarà eletta col sistema proporzionale. Dunque una prima difficoltà tecnica, per tutti, è questa: si deve decidere chi mandare al maggioritario e chi al proporzionale e chi da tutt’e due le parti, e dove. Seconda difficoltà: una volta avevamo da scegliere tra liste lunghissime di nomi, quindi si poteva apparentemente far contenti tutti, col sottinteso che chi era messo troppo in fondo non aveva speranze. Adesso, per la gara proporzionale, bisogna formare liste di quattro nomi appena, alternando un maschio e una femmina. Complicato già così.  

Poi ci sono le difficoltà politiche.
Già. Particolarmente ardue dentro il Partito democratico. Gli scissionisti di LeU (i bersanian-dalemiani guidati da Grasso) avevano divorziato da Renzi proprio per non affrontare la ghigliottina delle liste preparate dal segretario, che chiaramente ne avrebbe lasciati a casa parecchi. Usciti loro, dentro il Pd è comunque rimasto un nucleo di oppositori, capeggiato dal mnistro della Giustizia Orlando e dal governatore della Puglia, Michele Emiliano. Costoro, all’ultimo, hanno preferito disertare la direzione e non votare il pacchetto di nomi proposto da Renzi. Il quale, non diversamente da quanto fanno, sulle altre sponde, Berlusconi, Di Maio e Salvini, ha compilato le liste per disegnare il partito che vuole lui. Se vogliamo, il Partito di Renzi, alla cui formazione tende fin da quando è diventato segretario. L’irritazione di Orlando-Emiliano, che hanno ottenuto pochi nomi dei loro amici, è arrivata al punto che si è nuovamente parlato di una possibile scissione. Staremo a vedere.  

Non è sempre stato così? Le liste non hanno sempre obbedito ai criteri decisi da chi comandava?
Nei partiti d’un tempo era diverso, il celebre manuale Cencelli serviva anche a sistemare faccende come questa. Un tanto a te, un tanto a me, a seconda della forza che ciascuna corrente aveva. Oggi la situazione è cambiata: il Pd dovrà acconciarsi a un governo di coalizione, forse addirittura minoritaria, per il segretario è necessaria la fedeltà assoluta dei suoi: le tentazioni per tradire sono troppe. Guardi che gli altri hanno forse litigato di meno, o forse in modo meno spettacolare, ma hanno affrontato la questione esattamente con gli stessi obiettivi.  

Chi sono stati, alla fine, i prescelti?
Cesare Damiano e Barbara Pollastrini, due sinistri rimasti nel Pd che il segretario aveva dato l’impressione di voler tagliare, sono in lista. Esclusi invece nomi storici come quelli di Ermete Realacci (inutilmente amicissimo di Gentiloni), Luigi Manconi o Giusi Nicolini, celebre sindaco di Lampedusa e pioniera dell’accoglienza dei migranti. Fuori anche Sergio Lo Giudice, storico esponente dell’Arcigay, la cui esclusione ha fatto dire a molti che il Pd di Renzi arretra sui temi dei diritti civili. Lo Giudice, tra molti imbarazzi, ha risposto: «Non la vedo così», senza aggiungere altro. Battute sono state indirizzate alla strana circostanza per cui a Bologna il Pd candiderà Casini, che un tempo era alleato di Berlusconi, e non Lo Giudice, che la candidatura di Casini l’ha difesa.  

Che ha detto il segretario?
«E’ la squadra migliore per vincere le elezioni. Non è tempo di polemiche. La nostra è una proposta seria e la prossima settimana arriva anche il programma con le cose fatte e 100 punti da fare. È fisiologico e umano il ricambio, vedremo se ci saranno rinunce, forse ci sarà qualche spazio di recupero. Ma insomma, dico un grande grazie a chi è in campo. E le elezioni sono tutte da fare». Poi, sulla Boschi, ossessione di tutti e che correrà nel seggio blindatissimo di Bolzano: «La Boschi? Sarà in diversi collegi e diversi territori. Per essere chiari: noi la questione banche l’abbiamo presa di petto e abbiamo salvato correntisti, risparmiatori e posti di lavoro. Prima che su Arezzo riparta la polemica, a Siena abbiamo chiesto a Padoan di candidarsi, di giocarsi questa partita, con un messaggio potentissimo di sfida politica. La Lega cosa ha risposto? Nella mia Toscana ha messo dei prof No euro». I sondaggi segnalano un lieve recupero dei democratici, con i cinquestelle sempre primo partito intorno al 28-29%. Ma come si può dar credito fino in fondo a questi conti? Non basta stabilire le percentuali, bisogna vedere quanti seggi ciascuna forza politica sarà capace di conquistare nel maggioritario. Un calcolo per niente semplice. (leggi)

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