Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Di Maio non vuole più uscire dall’Europa
Luigi Di Maio non pensa più che l’Italia debba uscire dall’euro.
• Ma se nemmeno un mese fa ho sentito con le mie orecchie...
Già, a metà dicembre, ospite di Myrta Melino a L’aria che tira su La 7, Di Maio aveva dichiarato: «Se si dovesse arrivare al referendum è chiaro che io voterei per l’uscita, perché significherebbe che l’Europa non ci ha ascoltato». Invece ieri si è presentato negli studi di Porta a Porta e, rispondendo a una domanda di Bruno Vespa, ha usato toni molto diversi: «Non credo sia più il momento per l’Italia di uscire dall’euro perché l’asse franco-tedesco non è più così forte (in realtà i due parlamenti stanno per votare una risoluzione pressoché identica, che certificherà l’accordo sui temi economici e fiscali tra Macron e la Merkel - ndr). Spero di non arrivare al referendum sull’euro che comunque per me sarebbe un’extrema ratio». Il proposito, immagino, è quello di sembrare più affidabileazze e rassicurante agli occhi dell’Europa. E a proposito di Europa Di Maio ha aggiunto: «Restare nei parametri del 3% non funziona. Dobbiamo superarli e fare investimenti ad alto deficit, così c’è più gettito per lo Stato e si paga il deficit». Una delle principali proposte del M5s prevede infatti un aumento della spesa di circa 100 miliardi l’anno per i prossimi due-tre anni, da finanziare apunto con un aumento del deficit e dimenticando il 3 per cento.
• A parte questo, Di Maio ha detto altre cose interessanti?
Prima di tutto ha dovuto difendere la giunta Raggi per l’emergenza dei rifiuti che invadono le strade di Roma. È tutta colpa dei governatori di Emilia Romagna e Abruzzo - ha detto - che fanno storie nel prendersi l’immondizia della capitale. E, secondo lui, è anche colpa di Zingaretti: «i tre presidenti di Regione sono dello stesso partito, cioè del Pd e dovrebbero parlarsi tra loro anziché fare campagna elettorale sulle spalle dei romani. Allora io dico: smettetela di usare i romani per fare la vostra campagna elettorale». Per quanto riguarda i temi più strettamente politici, c’è stata una timida apertura ad alleanze dopo il voto. D’altra parte i numeri sono spietati: per avere la maggioranza assoluta il M5s deve arrivare al 40% e al momento i sondaggi più ottimistici non gli dànno più del 30. «Mattarella dovrà affidare l’incarico a chi è in grado di formare una maggioranza. Se saremo quelli con più voti non vedo alternative», ha spiegato Di Maio. «Senza un numero di voti sufficienti, faremo appello agli altri gruppi parlamentari, ma in un paradigma nuovo, non per lotizzare i ministeri. Non sarà impossibile convergere con chi di essere d’accordo con le altre nostre proposte più importanti, per esempio il reddito di cittadinanza». Per i collegi uninominali il Movimento individuerà «persone del territorio che siano capaci di fronteggiare gli avversari, persone che lavorano nella scuola, nelle associazioni. Stiamo facendo una selezione pubblica e stiamo individuando le migliori menti».
• Tra le «migliori menti» ho letto nomi un po’ strambi...
In realtà nella formazione delle liste i cinquestelle hanno cominciato a regolarsi come tutti gli altri, inserendo personaggi noti al grande pubblico come il capitano De Falco, quello che intimò a Schettino di tornare sulla Concordia («Salga a bordo, cazzo»), volti della televisione, come Gianluigi Paragone e l’ex direttore di SkyTg24 Emilio Carelli. Tra i futuri grillini c’è anche Maria Rita Parsi, psicologa dell’infanzia, anche lei molto televisiva. Avrebbero voluto anche l’inviato delle Iene, Dino Giarrusso, quello dei servizi che accusano il regista Fausto Brizzi, ma alla fine Giarrusso ha declinato l’invito. Certo, fa un certo stupore che i cinquestelle, sempre nemici dei giornalisti, stiano adesso pensando di portarli in Parlamento.
• Quindi i cinquestelle si stanno normalizzando?
Per aprirsi alle candidature esterne, alla cosiddetta società civile, a fine dicembre hanno approvato un nuovo statuto che ha fatto parecchio discutere. Mentre le liste bloccate della quota proporzionale (imposte dal Rosatellum) saranno formate da candidati iscritti al M5s e votati online dalla base, per i collegi uninominali il leader politico (Di Maio) può selezionare per direttissima anche non iscritti. Una mossa di pragmatismo che i fedelissimi della prima ora hanno mal digerito. In più è stata inserita una norma anti voltagabbana: in caso di espulsione dal Movimento, di abbandono del gruppo parlamentare o di dimissioni anticipate senza una buona ragione, ogni parlamentare sarà obbligato a pagare una penale di centomila euro. Un modo per imporre una sorta di vincolo di mandato, che però l’art. 67 della Carta vieta espressamente.
• A proposito di divieti, ma i grillini non volevano bloccare Vespa e Fazio?
Il M5s aveva presentato quattro emendamenti per impedire alle trasmissioni Porta a Porta e Che tempo che fa di ospitare esponenti di partiti e movimenti politici durante l’ultimo periodo della campagna elettorale. Il ragionamento dei grillini era il seguente: per aggirare il tetto da 240 mila euro sugli ingaggi a Vespa e Fazio è stato fatto loro un contratto da “artisti” e non da giornalisti e quindi, non essendo giornalisti, vanno tenuti fuori dalla campagna elettorale. Ieri la commissione sulla Vigilanza Rai, approvando il regolamento sulla par condicio, ha bocciato questi emendamenti. Quindi nessuno stop per Vespa e Fazio. Per la cronaca, oggi da Vespa si siederà Matteo Renzi e domani sarà il turno di Silvio Berlusconi.
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